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Metodi non farmacologici aiutano i portatori del gene APOE4, che alza rischio di Alzheimer

Mentre non ci sono farmaci che possono curare il morbo di Alzheimer (MA) e invertire i problemi di memoria e di pensiero che esso causa, un nuovo studio dimostra che alcune strategie non farmacologiche possono aiutare a migliorare le capacità cognitive in alcune persone con la malattia.


Circa il 25% delle persone nel mondo nascono con una copia del APOE4, che è collegato a un rischio più elevato di sviluppare l'MA. Circa dal 2-3% della popolazione ha due copie del gene - uno dalla madre e l'altro dal padre - che insieme aumentano notevolmente il rischio della malattia, tanto che circa il 60% di queste persone svilupperà l'MA verso gli 85 anni.


In un studio pubblicato ieri su JAMA Neurology, dei ricercatori volevano sapere se le persone con quel rischio genetico avrebbero potuto trarre beneficio anche da metodi non farmacologici, per tenere a bada la malattia che distrugge la memoria. La dieta, l'esercizio fisico e l'essere socialmente attivi sono stati collegati al rallentamento della traiettoria della malattia in alcune persone, ma gli studi sui portatori di un rischio genetico come l'APOE4 non erano stati conclusivi.


Durante l'esperimento, dei ricercatori in Finlandia hanno approfittato del Finnish Geriatric Intervention Study to Prevent Cognitive Impairment and Disability (FINGER) per confrontare le persone con e senza APOE4. I soggetti sono stati assegnati in modo casuale ad un programma di dieta intensiva e di esercizio fisico e cerebrale, o a un programma di controllo di consulenza generale sulla salute.


Anche se alcune persone avevano il gene ad alto rischio, non mostravano ancora segni di demenza o di deterioramento cognitivo significativo; le persone con le forme più gravi di demenza sono state escluse, in modo che i ricercatori potessero concentrarsi sui soggetti nelle prime fasi della malattia.


Poiché le persone con geni APOE4 hanno maggiori probabilità di sviluppare l'MA, alcuni esperti del cervello ritengono che siano più vulnerabili agli effetti di una dieta scadente, a una mancanza di esercizio fisico e a una minima interazione sociale. La speranza era che, assicurandosi che le persone con fattori di rischio genetico seguissero una dieta sana, facessero esercizio regolare e fossero impegnati socialmente, potessero rallentare la progressione della malattia. Era però anche possibile che, poiché i geni attribuiscono un maggior rischio di malattia, le terapie non farmacologiche avessero poco effetto sulle loro funzioni cognitive.


In realtà, tra quelli assegnati al gruppo dieta, esercizio fisico e allenamento del cervello, c'era poca differenza nei test della memoria, velocità di elaborazione e funzionamento esecutivo tra i portatori della variante genetica APOE4 e chi era senza la variante genetica. Ciò suggerisce che i cambiamenti dello stile di vita possono essere ugualmente utili nelle persone con o senza il fattore di rischio genetico.


I risultati non hanno confermato che i comportamenti di stile di vita fossero più efficaci nelle persone con i geni dell'MA, ma sono abbastanza intriganti da ispirare più ricerche su come gli interventi non farmacologici potrebbero migliorare i sintomi nelle persone con la malattia.


I risultati supportano anche la crescente tendenza nel settore a studiare sia le strategie farmacologiche che quelle non farmacologiche, il più presto possibile nel corso della malattia, per prevenire, anziché trattare, i sintomi una volta comparsi.

 

 

 


Fonte: Alice Park in Time (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Solomon A, Turunen H, Ngandu T, Peltonen M, Levälahti E, Helisalmi S, Antikainen R, Bäckman L, Hänninen T, Jula A, Laatikainen T, Lehtisalo J, Lindström J, Paajanen T, Pajala S, Stigsdotter-Neely A, Strandberg T, Tuomilehto J, Soininen H, Kivipelto M. Effect of the Apolipoprotein E Genotype on Cognitive Change During a Multidomain Lifestyle Intervention. A Subgroup Analysis of a Randomized Clinical Trial. JAMA Neurol. Published online 22Jan2018. doi: 10.1001/jamaneurol.2017.4365

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