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Memoria Origine: da considerare per future cure di Alzheimer, Parkinson, DPTS, depressione

I neuroscienziati Jonathon Crystal e Wesley Alford della Indiana University hanno acquisito la certezza del concetto che gli animali non umani hanno un tipo particolare di memoria chimata «memoria di origine», che si credeva esclusiva degli umani.


In un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Biology Letters, hanno scoperto con sorpresa che questo tipo di ricordo nei loro soggetti animali, in questo caso i ratti, dura anche molto più a lungo di quanto si credeva resistesse in qualsiasi non-primate.


Lo studio potrebbe in ultima analisi aiutarci a capire le basi biologiche della compromissione della «memoria di origine» negli esseri umani e rendere possibili nuovi interventi per il fallimento della memoria in condizioni come l'Alzheimer, l'Huntington, il Parkinson, la schizofrenia, il DPTS e la depressione. Esso implica anche che la memoria di origine è evolutivamente molto antica in quanto esiste negli animali non umani.


La memoria di origine, secondo Crystal, si riferisce al ricordo di come, dove e con quali mezzi, abbiamo acquisito una informazione. Per esempio, le persone di solito vogliono ricordare chi ha detto loro una certa battuta, in modo da non raccontarla alla stessa persona. Oppure, quando si entra in una cabina elettorale, gli elettori potrebbero voler ricordare la fonte da cui hanno sentito una storia negativa su un candidato: un giornale di fiducia o una trasmissione comica?


La memoria di origine è un componente chiave della memoria episodica che ci permette di ricordare eventi astratti, momenti e situazioni che compongono la storia di una vita che noi riconosciamo come nostra e che ci collega alla famiglia, agli amici, alla comunità e al mondo in generale. Per questo motivo è una sorta di "Sacro Graal" per i ricercatori che cercano di spianare la strada al trattamento di malattie o disturbi che affliggono la memoria umana, ha detto Crystal.


"L'obiettivo principale di questa ricerca è dimostrare che siamo attingendo al tipo di sistema di memoria che conta davvero per le persone affette da Alzheimer", ha detto. "Altrimenti alla fine rischiamo di spendere miliardi di dollari su un farmaco che aiuterà a ricordare dove sono stati messi gli occhiali da lettura l'ultima volta, invece che consentire di ricordare l'ultima visita del nipote e la notizia che ha condiviso con noi, e gli altri aspetti della nostra vita".


La chiave, dice Crystal, è definire un esperimento in cui i ratti non possono svolgere il compito specifico (determinare quale braccio in un labirinto radiale a otto braccia avrà palline di cioccolato) senza fare affidamento sulla memoria di origine. In tal modo, lo studio ha anche dimostrato che il ricordo che stavano testando nel ratto è durata molto più a lungo di quanto chiunque potesse prevedere: fino a sette giorni.


Crystal è il direttore del «Program in Neuroscience and the Comparative Cognition Lab» nel Department of Psychological and Brain Sciences and College of Arts and Sciences della UI. Alford ha recentemente lasciato la sua posizione come Visiting Scholar nel reparto ed è attualmente studente laureato in neuroscienze alla Brandeis University.

 

 

 

 

 


FonteIndiana University(> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  J. D. Crystal, W. T. Alford. Validation of a rodent model of source memory. Biology Letters, 2014; 10 (3): 20140064 DOI: 10.1098/rsbl.2014.0064

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