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La chirurgia incide più dell'anestesia su modello animale di Alzheimer

Una sindrome chiamata "declino cognitivo post-operatorio" è stata coniata per riferirsi alla perdita delle capacità cognitive comunemente riferita, di solito negli anziani, nel periodo da pochi giorni a settimane dopo l'intervento.

Infatti, alcuni pazienti fanno partire l'insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer da una procedura chirurgica. Le modalità esatte di interazione del trio anestesia / chirurgia / demenza non hanno spiegazione clinica, ma sono di grande preoccupazione per pazienti, famiglie e medici.


In alto sono visibili, nelle immagini al microscopio, placche amiloidi (a sinistra, frecce) e tau intra-cellulare (a destra) nel cervello di topo. Sotto ogni
immagine ci sono i dati che mostrano l'aumento di
entrambe le caratteristiche patologiche dopo un
intervento chirurgico con anestesia (desflurano).
(Credit: Tang et al, Annals of Surgery, 2012)


Un anno fa, i ricercatori della Scuola di Medicina Perelman dell'Università della Pennsylvania, ha riferito che la patologia di Alzheimer, come risulta dai biomarcatori del fluido spinale cerebrale, potrebbe aumentare nei pazienti dopo un intervento chirurgico e anestesia. Tuttavia, non è chiaro se i farmaci anestetici o la procedura chirurgica in sé stessa siano responsabili. Per separare queste possibilità, il gruppo ha usato un modello murino dell'Alzheimer.


I risultati, pubblicati on-line questo mese in Annals of Surgery, mostra che l'intervento stesso, piuttosto che l'anestesia, ha l'impatto più profondo su un cervello vulnerabile alla demenza.


Il team, guidato da Roderic Eckenhoff, MD, Professore Austin Lamont di Anestesia, ha sottoposto topi con geni umani dell'Alzheimer, sia solo ad anestesia, o ad anestesia più un intervento chirurgico addominale. L'intervento era simile a una appendicectomia o colectomia, procedure molto comuni negli esseri umani.


Hanno scoperto che la chirurgia comporta un incremento duraturo della patologia di Alzheimer, principalmente attraverso l'attivazione transitoria di infiammazione cerebrale. Inoltre, persiste un considerevole deterioramento cognitivo per almeno 14 settimane dopo l'intervento rispetto ai controlli trattati con solo anestesia. Né l'intervento chirurgico né l'anestesia hanno prodotto cambiamenti negli animali normali, non transgenici.


"Nei topi, c'è stato un decremento chiaro e persistente dell'apprendimento e della memoria causati dagli interventi chirurgici rispetto all'anestesia per inalazione - ma solo nel contesto di un cervello reso vulnerabile da transgeni umani associati all'Alzheimer", osserva Eckenhoff. Egli osserva inoltre che, al momento dell'intervento, i topi di AD non hanno mostrato sintomi esterni di AD, pur avendo indizi labili che la neuropatologia era in corso. "Questa linea temporale è analoga sia alla fascia d'età che allo stato cognitivo di molti dei nostri pazienti che si presentano per una procedura chirurgica e suggerisce che la finestra di vulnerabilità alla chirurgia del cervello di Alzheimer si estende in questo periodo pre-sintomatico", dice Eckenhoff. Questo periodo potrebbe essere analogo a quello che oggi è chiamato AD prodromico.


"D'altra parte", avverte Maryellen Eckenhoff, PhD, neuroscienziato del gruppo, "la vulnerabilità del cervello vista nei topi di AD non si applica bene alle persone". I topi di AD utilizzati, come tutti i modelli di topo di Alzheimer attuali, si avvicinano maggiormente alla situazione dell'Alzheimer famigliare, che costituisce solo una piccola minoranza di pazienti. Essa sottolinea che non è ancora chiaro se i risultati sui modelli murini di AD rappresenterà i pazienti che alla fine hanno l'insorgenza tardiva, o Alzheimer "sporadico". Questi topi sono, tuttavia, l'attuale standard di scelta per lo screening di nuovi farmaci e hanno permesso delle scoperte considerevoli per la patogenesi di Alzheimer.


Il meccanismo che collega chirurgia ed effetti cognitivi sembra essere l'infiammazione. Si sa che il processo infiammatorio avviene in seguito alla chirurgia, almeno al di fuori del sistema nervoso centrale. Come questo processo infiammatorio abbia accesso al cervello, e accelerare la patologia di AD in modo persistente non è ancora chiaro. Non si è dimostrato in modo convincente che il declino cognitivo post-operatorio persista per tre mesi nella maggior parte delle persone, e non è ancora chiaro che sia premponitore della demenza. Questo studio suggerisce che, nel contesto di un cervello vulnerabile, i deficit cognitivi dopo l'intervento chirurgico potrebbero essere irreversibile.


Tuttavia, la constatazione che l'infiammazione è il meccanismo sottostante, suggerisce immediatamente una strategia per attenuare le lesioni. "Sono necessari studi su umani per confermare questi risultati prima e poi iniziare a implementare strategie anti-infiammatorie per minimizzare il danno", aggiunge Eckenhoff. "Come professione, i medici hanno bisogno di capire le implicazioni a lungo termine della nostra assistenza, sia positive che negative, e fare tutto il possibile per ritardare l'insorgenza della demenza".


Co-autori, tutti della Penn, sono Junxia X. Tang, Feras Mardini, Luke S. Janik, Sean T. Garrity, Rosie Q. Li, e Gulnaz Bachlani. Questo studio è stato finanziato dal National Institute on Aging (AG031742) e dall'Austin Lamont Endowment Fund.

 

 

 

 

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Fonte: Materiale della Perelman School of Medicine at the University of Pennsylvania.

Riferimento:
Junxia X. Tang, Feras Mardini, Luke S. Janik, Sean T. Garrity, Rosie Q. Li, Gulnaz Bachlani, Roderic G. Eckenhoff, Maryellen F. Eckenhoff. Modulation of Murine Alzheimer Pathogenesis and Behavior by Surgery. Annals of Surgery, 2012; DOI: 10.1097/SLA.0b013e318269d623.

Pubblicato in ScienceDaily il 14 Settembre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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