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Trattamenti comuni per l'HIV possono aiutare i pazienti con Alzheimer

 

Il morbo di Alzheimer (MA) attualmente affligge quasi 7 milioni di persone negli Stati Uniti, un numero che dovrebbe crescere a quasi 13 milioni entro il 2050, e la mancanza di terapie significative rappresenta una grande esigenza medica insoddisfatta.


Scienziati del Sanford Burnham Prebys, sotto la guida di Jerold Chun MD/PhD, professore del Center for Genetic Disorders and Aging Research, hanno ora identificato legami promettenti del mondo reale tra farmaci comuni per l'HIV e una incidenza ridotta di MA.


La ricerca, pubblicata in Pharmaceuticals, si basa su una precedente apparsa su Nature nel 2018, che ha descritto come la ricombinazione genica somatica nei neuroni possa produrre migliaia di nuove varianti geniche all'interno del cervello di MA. E ha anche rivelato per la prima volta che il gene APP collegato al MA si ricombina con lo stesso tipo di enzima presente nell'HIV.


L'enzima, chiamato 'trascrittasi inversa' (RT, reverse transcriptase), copia molecole di RNA e le cambia in duplicati di DNA complementari che possono quindi essere inseriti nel DNA, producendo cambiamenti di sequenza permanente all'interno del modello di DNA della cellula.


L'HIV e molti altri virus si basano sull'RT per dirottare le cellule di un ospite e stabilire un'infezione cronica, quindi i farmaci che bloccano l'attività dell'enzima RT sono diventati una parte comune del cocktail di trattamento per tenere a bada l'HIV. Il cervello sembra avere i propri RT che sono diversi da quelli dei virus e il team di ricerca si è chiesto se inibire gli RT cerebrali con farmaci per l'HIV possa aiutare realmente i pazienti con MA.


Per valutare il legame tra l'esposizione agli inibitori dell'RT del mondo reale e il MA nell'uomo, il team ha analizzato le cartelle cliniche anonimizzate con richieste di prescrizione di oltre 225.000 pazienti HIV-positivi e di controllo e ha scoperto che l'esposizione agli inibitori di RT era associata a una incidenza e prevalenza ridotte in modo statisticamente significativo di MA.


"Pertanto, abbiamo esaminato gli individui sieropositivi che assumono inibitori di RT e altre terapie antiretrovirali combinate mentre invecchiano e ci siamo chiesti: quanti di loro hanno il MA?" ha detto Chun. "E la risposta è che ce ne sono molti meno di quanto ci si può aspettare rispetto alla popolazione generale".


Degli oltre 225.000 individui con prescrizioni nello studio, solo meno di 80.000 erano sieropositivi dopo i 60 anni. Più di 46.000 avevano assunto inibitori di RT durante un periodo di osservazione di quasi tre anni dal 2016 al 2019. I dati sono stati ottenuti attraverso una collaborazione con la società di tecnologie sanitarie e ricerca clinica IQVIA, guidata da Tiffany Chow MD.


Nelle persone con HIV, c'erano 2,46 diagnosi di MA per 1.000 persone tra gli individui sieropositivi che assumevano questi inibitori, rispetto ai 6,15 della popolazione generale. Questo gruppo di controllo era rappresentato da oltre 150.000 pazienti HIV-negativi over-60 con richieste di assicurazione medica relative al trattamento del comune raffreddore.


"Non è fattibile uno studio clinico prospettico con questo numero di pazienti", aggiunge Chun. "Questo approccio è un modo per esaminare come un farmaco può agire su una grande popolazione di pazienti".


Chun sottolinea che i farmaci assunti dai pazienti in questo studio retrospettivo sono stati progettati per contrastare l'attività RT nell'HIV e probabilmente hanno avuto un effetto solo limitato su molte diverse forme possibili dell'enzima attivo nel cervello.


"Quello che vediamo ora è molto grezzo", afferma Chun. "Il passo chiaro successivo per il nostro laboratorio è identificare quali versioni di RT sono al lavoro nel cervello di MA così da poter scoprire trattamenti più mirati, mentre dovrebbero essere perseguiti processi clinici potenziali degli inibitori RT attualmente disponibili sulle persone con MA precoce".

 

 

 


Fonte: Sanford-Burnham Prebys (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: TW Chow, [+4], J Chun. Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor Exposure Is Associated with Lower Alzheimer’s Disease Risk: A Retrospective Cohort Proof-of-Concept Study. Pharmaceuticals, 2024, DOI

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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