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Superare la rottura delle connessioni per combattere l'Alzheimer

Dei ricercatori hanno identificato una proteina che può consentire ad alcune persone di resistere alla demenza nonostante l'accumulo di placca amiloide.

Healthy and amyloid dendrites

Uno studio recente ha rivelato che una proteina importante per la comunicazione dei neuroni è associata alla resistenza al morbo di Alzheimer (MA) e può ritardare il declino cognitivo.


Come il cavo che collega la cornetta del telefono al suo ricevitore, un neurone deve stabilire una connessione fisica con altri neuroni per comunicare e trasmettere segnali, il che consente alle persone di pensare e parlare.


Un nuovo studio pubblicato su Molecular & Cellular Proteomics suggerisce che la proteina neuritina può permettere ad alcune persone di conservare le loro connessioni neuronali anche quando le sostanze tossiche che causano il MA tentano di romperle.


Il MA è la causa più comune di demenza e colpisce oltre 5,8 milioni di americani. Per diagnosticarlo, i medici usano test di competenza mentale, esami fisici e neurologici, scansioni cerebrali, test di liquidi spinali e storia medica. La maggior parte dei pazienti mostra sia un declino cognitivo che un accumulo di proteine tossiche nel cervello, che provoca la morte dei neuroni e il restringimento del cervello.


Questi aggregati di proteine anormali, chiamati placche amiloide-beta (Aβ) e grovigli tau, possono interrompere le connessioni e la comunicazione neuronale, determinando la perdita di memoria e confusione, i sintomi caratteristici del MA.


Tuttavia, alcuni pazienti mostrano segni caratteristici della patologia di MA nel cervello quando vengono esaminati, ma rimangono mentalmente competenti. Questi individui sono definiti 'cognitivamente resilienti' dai ricercatori che hanno condotto lo studio.


"Come possono delle persone anziane cognitivamente normali con patologia del MA resistere all'inizio della demenza è una delle domande più fondamentali e senza risposta sul campo", ha affermato Jeremy Herskowitz, professore associato di neurologia all'Università dell'Alabama di Birmingham e co-supervisore del progetto.


Per affrontare questa questione, Herskowitz e Nicholas Seyfried, professore di biochimica della Emory e co-supervisore del progetto, hanno collaborato e combinato le loro specialità in proteomica e neurologia di base per esaminare le proteine nei tessuti cerebrali umani. A differenza della ricerca basata su ipotesi prevalenti, questo team studia prima gli umani e i loro tessuti per scoprire terapie potenziali.

"È un approccio abbastanza diverso da quelli tradizionali, che cercano di fare scoperte nei sistemi di modelli sperimentali", ha detto Herskowitz. "La nostra ricerca identifica prima l'insieme delle differenze nell'uomo. Quindi, dopo averle scoperte, possiamo porre domande ai sistemi di modelli sperimentali per capire cosa sta succedendo a livello molecolare e cellulare".


I ricercatori hanno eseguito con la spettrometria di massa una grande selezione delle proteine presenti nel cervello di persone sane, di pazienti tipici di MA e di pazienti cognitivamente resilienti. Cheyenne Hurst, dottoranda della Emory e prima coautrice dello studio, ha usato programmi di computer ad alta potenza per determinare che la neuritina si correla con la funzione cognitiva intatta nel tempo.


"Più alta è la quantità di neuritina che hai nel tuo cervello, più è probabile che tu sia cognitivamente intatto", ha detto la Hurst.


I ricercatori hanno quindi voluto capire come la proteina influisce sulla comunicazione dei neuroni. Per fare ciò, hanno isolato i neuroni dell'ippocampo di ratti e li hanno trattati con neuritina, con Aβ patogena o con entrambe. Derian Pugh, dottoranda dell'UAB e prima coautrice, ha notato differenze strutturali nei tre gruppi.


"Le spine dendritiche, o sinapsi, che escono dai neuroni sani ricordano i rami di un albero"
, ha detto Pugh. "Ma la struttura dei neuroni esposti all'Aβ patogena è interrotta, e così erano le loro connessioni con altri neuroni. Sembrava un albero senza rami".


Tuttavia, la neuritina ha bloccato completamente gli effetti dannosi dell'Aβ sulle colture di neuroni.

"Con questi esperimenti, abbiamo ricapitolato ciò che accade negli esseri umani che mostrano resilienza cognitiva, e un possibile meccanismo", ha detto Herskowitz.


Il team prevede di concentrarsi sulla biologia di base della neuritina ma anche su come sfruttare la neuritina come biomarcatore di MA o come terapia.


"La capacità di stimare la quantità di patologia Aβ nel cervello di una persona anziana usando i biomarcatori sta diventando molto avanzata", ha detto Seyfried. “Possiamo prevedere in modo abbastanza accurato la presenza di Aβ nel cervello di qualcuno mentre è ancora in vita. Se ha una grande quantità di Aβ, ma è ancora cognitivamente normale, potremmo un giorno trattarlo con neuritina o farmaci che aumentano i livelli di neuritina in modo che quei sintomi non si sviluppino in demenza".

 

 

 


Fonte: Marissa Locke Rottinghaus in American Society for Biochemistry and Molecular Biology (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: C Hurst, ...[+6], NT Seyfried. Integrated Proteomics to Understand the Role of Neuritin (NRN1) as a Mediator of Cognitive Resilience to Alzheimer’s Disease. Molecular & Cellular Proteomics, 2023, DOI

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 



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