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All'inizio era l'amiloide, poi complessi cambiamenti molecolari, cellulari, dei circuiti e della rete



La progressione dell'AD dipende da una serie complessa di cambiamenti molecolari, cellulari e a livello di circuiti e reteDepositi di placche amiloide-beta (rosso) interrompono l'organizzazione della mielina (verde) nel cervello e attivano le microglia (arancione), portando a infiammazione, neurodegenerazione, e disfunzione cognitiva associata all'Alzheimer (Immagine: Rebecca Canter)

L'Alzheimer, il tipo più diffuso di demenza - che interesserà il 10 per cento delle persone negli Stati Uniti nel corso della loro vita e per il quale non esiste alcun trattamento efficace o cura - causa una perdita progressiva e devastante della memoria e della cognizione.


Gli sforzi degli ultimi 25 anni per sviluppare un trattamento per la malattia si sono concentrati sulla cosiddetta "ipotesi cascata amiloide". Questa propone che dei peptidi di amiloide-beta (Aβ) si accumulano e si aggregano formando placche nel cervello, creando un effetto a cascata che alla fine porta alla morte neuronale e alla disfunzione cognitiva.


Tuttavia, nonostante le prove di un legame tra Aβ e Alzheimer, gli sforzi per colpire il peptide non sono ancora riusciti a invertire questo declino cognitivo.


Ora, in una ricerca di revisione pubblicata sulla rivista Nature, i ricercatori del Picower Institute for Learning and Memory del MIT di Boston sostengono che, anche se livelli elevati di amiloide-beta possono avviare la sequenza di eventi che portano alla malattia, alla sua progressione contribuisce una serie complessa di altre modifiche molecolari, cellulari, a livello di circuiti e di rete. Ancora di più, i ricercatori sostengono che questi cambiamenti non possono essere invertiti controllando semplicemente i livelli di amiloide-beta.


Molti dei trattamenti progettati per colpire l'Aβ usano anticorpi per eliminare la placca dal cervello, e sono molto efficaci nel farlo, secondo Li-Huei Tsai, professore di Neuroscienze e direttore dell'Istituto Picower: "Ma questi studi clinici falliscono perché i pazienti non mostrano un miglioramento delle funzioni cognitive. Quindi c'è una disconnessione lì, nel senso che quando elimini l'Aβ, non vedi il risultato positivo che ti aspetti".


Questo è sottolineato dalle osservazioni che indicano che i livelli di Aβ nel cervello sembrano smettere di aumentare relativamente presto nella progressione della malattia, quando il deterioramento cognitivo è ancora mite, secondo lui: "L'amiloide-β inizia ad accumularsi nel cervello 20 anni o più, prima che la persona cominci a mostrare sintomi clinici, e ad un certo punto il livello si stabilizza, e la persona può ancora essere funzionalmente normale".


Dobbiamo capire meglio come i circuiti del cervello rispondono all'aumento iniziale dei livelli di Aβ, e come le placche influenzano l'attività della rete del cervello nel corso del tempo, compresi i suoi collegamenti, i circuiti e l'elaborazione delle informazioni, dice.


Degli studi hanno dimostrato che l'Aβ si accumula notevolmente in un'area del cervello chiamata «rete in modalità predefinita», un gruppo di zone collegate che sono attive quando si pensa, si ricorda e si pianifica. La ricerca ha anche dimostrato che i livelli di Aβ sono legati strettamente all'attività neuronale. Per esempio i ricercatori hanno scoperto che il blocco di tale attività porta ad una diminuzione dell'Aβ, mentre l'aumento dell'attività aumenta i livelli del peptide.


"Tuttavia, a un livello di mappatura più dettagliato, ancora non sappiamo in quale circuito o area cerebrale inizia a formarsi l'Aβ, come si propaga da un'area all'altra, e come l'attività cerebrale può regolamentare la sua propagazione", dice Tsai. "Queste sono tutte domande molto importanti che il settore deve ancora affrontare".


Capire quali aree del cervello sono influenzate inizialmente dall'Aβ potrebbe aiutare i ricercatori a definire migliori trattamenti potenziali, secondo Jay Penney, un postdottorato del laboratorio di Tsai, co-autore della ricerca al fianco di Tsai e dello studente laureato Rebecca Canter.


Ad esempio, gli unici trattamenti per la malattia che sono stati finora approvati dalla FDA puntano sistemi specifici di neurotrasmettitori all'interno del cervello, e anche se questi mostrano effetti solo limitati, dimostrano che l'alterazione dell'attività di un circuito o rete ha il potenziale di ridurre la disfunzione cognitiva.


Studi sull'uomo in piccola scala che usavano la stimolazione cerebrale profonda hanno mostrato risultati promettenti nel migliorare la cognizione.


Una migliore comprensione delle prime parti del cervello che sono colpite dall'Aβ, e da altri tipi di patologie che diventano Alzheimer, potrebbe guidare i ricercatori nel cercare i segni iniziali della malattia in fase di sviluppo, dice Penney: "Questo potrebbe per esempio permettere potenzialmente di iniziare trattamenti che colpiscono la causa originale della patologia, e ridurre i livelli di amiloide-beta prima, e quindi allo stesso tempo potremmo anche puntare circuiti o aree specifiche del cervello, per migliorare la funzione cognitiva".


Potrebbe anche permettere ai medici di identificare le persone a rischio della malattia prima che sviluppino una qualsiasi disfunzione cognitiva, dice.


Nonostante siano in corso sforzi per puntare l'amiloide come terapia per l'Alzheimer, molti esperti ritengono che questo è più probabile che abbia successo negli stadi molto precoci o preclinici della malattia, prima della comparsa dei sintomi, o quando i sintomi sono molto lievi, secondo Brad Dickerson, professore associato di neurologia alla Harvard Medical School, che non era coinvolto nella ricerca.


"Per più di 5 milioni di americani affetti da demenza di Alzheimer, abbiamo un disperato bisogno di trattamenti più efficaci per migliorare i sintomi e rallentare la progressione", dice Dickerson. "La varietà di approcci discussi qui evidenzia alcune idee nell'ampia gamma che viene studiata".

 

 

 


Fonte: Helen Knight in MIT/Massachusetts Institute of Technology (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Rebecca G. Canter, Jay Penney & Li-Huei Tsai. The road to restoring neural circuits for the treatment of Alzheimer's disease. Nature 539, 187–196 doi:10.1038/nature20412

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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