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I pericoli per i pazienti con demenza del ricovero in ospedale, secondo un esperto

Un paziente con demenza, che continuava a dire che aveva fame, è stato ignorato perchè considerato "confuso".


Poi la moglie, alla quale era stato detto che non poteva visitarlo in ospedale durante i pasti, ha chiesto perché c'era il cartello "Niente per bocca" sopra il suo letto.


Ha scoperto che l'avviso era stato lasciato lì dal paziente precedente e il marito non mangiava da giorni.


Questa è una delle storie strazianti raccolte in un libro dalla prof.ssa June Andrews, direttrice del Centro per lo Sviluppo dei Servizi alla Demenza della Stirling University (GB).


Ma la sua pubblicazione, dal titolo «Dementia: The One-Stop Guide», non è un attacco alle carenze del servizio sanitario. E' invece un insieme di consigli pratici per coloro che si trovano ad assistere dei malati di demenza.


Il libro copre tutto, dal modo di ritardare i sintomi, ad ottenere una diagnosi, a rendere una casa amichevole con la demenza (assicurarsi che ci sia molta luce decente). Il capitolo probabilmente più controverso è chiamato "I pericoli di un ricovero in ospedale e come evitarli".


In esso la prof.ssa Andrews dice che anche se gli ospedali sono venerati come il posto migliore per farci stare meglio, è vero il contrario per le persone che possono essere confuse, facilmente disorientate e incapaci di esprimersi in modo chiaro. Lei dice che in realtà durante la loro degenza possono accadere cose "che li fanno stare così male da non permettere loro di tornare mai più a casa".


Lei sottolinea l'importanza per i parenti di restare con il paziente fin dall'inizio. Il rumore e il tumulto di un Pronto Soccroso possono indurre un malato di demenza a sentirsi di essere "morto e andato all'inferno", dice. Lei suggerisce di portare degli auricolari in modo che il paziente possa ascoltare musica o altre registrazioni.


Il suo libro mette in guardia anche dal fatto che gli ospedali spesso saltano il test cognitivo (cerebrale) che si suppone debbano eseguire quando ammettono dei pazienti. Lei consiglia ai familiari di dire al personale della loro malattia. "Potrebbe essere necessario dirlo un certo numero di volte, perché l'operatore al quale viene detto a volte non capisce l'importanza di quello che si sta dicendo e non se lo scrive o non lo comunica", aggiunge.



Una volta che la persona ha un letto, lei invita i famigliari ad "essere un visitatore guerrigliero", sfidando le regole sui tempi di attesa, e a trascorrere del tempo al loro fianco. Ci sono consigli per garantirsi una camera singola, quando il comportamento del paziente può potenzialmente disturbare le altre persone del reparto, e suggerimenti per cercare di evitare che il parente sia spostato da un letto all'altro, se i posti sono insufficienti.


Il libro è costellato di storie vere di pazienti e dei loro caregiver, come quello della madre 96enne che era così agitata perché non aveva avuto un antidolorifico per sei giorni. E' descritto un ciclo in cui sete o fastidio continuano senza rimedi, ma che provocano cambiamenti di comportamento che poi innescano la sedazione. E' citato un visitatore dell'ospedale, che aveva osservato un reparto pieno di uomini che dormivano sonni tranquilli già alle 18:00, mentre diceva che non sembrava tranquillo ... sembrava "un party di Aloperidolo" (è un sedativo).


Alla domanda se le sue parole potrebbero spaventare le famiglie, la prof.ssa Andrews ha detto che invece li autorizza a dare idee su cosa possono fare per aiutare. Scrive: "Il pericolo principale da cui guardarsi è che al tuo parente siano dati sedativi per impedirgli di esprimere il suo dolore. Essere disorientati e in agonia è un incubo".


Il libro darà pubblicato Giovedì prossimo da Profile Books al prezzo di 9.99 sterline.

 

 

 

 

 


Fonte:  Helen Puttick in The Herald Scotland  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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