La comunità mondiale dell'Alzheimer si è incontrata a Boston all'inizio di questo mese per la conferenza annuale AAIC. La conferenza può essere sconcertante per un esterno, dominata com'è da ricercatori e scienziati che scavano nella scienza profonda e dura dell'Alzheimer.
Tuttavia, dai colloqui densi di deficit cognitivi ritardati dai linfociti B e di modelli sperimentali di amiloide-beta, emerge una possibilità affascinante: possiamo imparare a prevenire l'Alzheimer prima di poterlo curare.
Alcuni nuovi studi iniziano a raccontare la storia. Un progetto di ricerca, realizzato in Inghilterra e Galles, ha scoperto che il tasso di demenza tra gli ultra 65enni è diminuito del 25% negli ultimi 20 anni. Altre ricerche in Danimarca mostrano che la capacità mentale nella coorte di over-90 è ora notevolmente più elevata di quanto non fosse dieci anni fa. E uno studio recente condotto in Francia rileva che "l'attività professionale può essere un importante determinante di stimolo intellettuale e di impegno mentale, che si ritiene possano, in potenza, proteggere dalla demenza".
Ciò che suggeriscono questi studi, e che altre ricerche presentate all'AAIC hanno iniziato a confermare, è che uno stile di vita più sano, e livelli di istruzione più elevati, possono aumentare l'acutezza mentale e diminuire il tasso di Alzheimer. Comportamento, dieta, esercizio fisico e abitudini, così come l'uso di statine, possono ridurre l'incidenza del diabete e delle malattie cardiovascolari, riducendo così il rischio correlato della demenza.
Questa non è solo una ipotesi. Con la diffusione dell'Alzheimer, che dovrebbe raggiungere i 66 milioni di persone per il 2030, questo grammo di prevenzione può valere 10.000 grammi di cura. Allora, perché l'Alzheimer's Association non sta urlando questa teoria dai tetti di Boston? Parte del motivo, sospetto, è che la conferenza annuale non ha ancora pienamente compreso che l'Alzheimer deve essere analizzato non solo attraverso lenti scientifiche e mediche, ma anche attraverso quelle degli studi di azioni sulla politica e sulla popolazione. Questa è diventata una pratica standard con l'HIV/ AIDS e l'oncologia, e l'AAIC dovrebbe saggiamente seguirne l'esempio.
Rimane della massima importanza il ruolo di farmaci innovativi che modificano la malattia, e sono emerse notizie positive dal convegno, ma non sarebbe saggio trascurare ruolo e prospettive potenziali della prevenzione.
Infatti, anche se i processi dell'invecchiamento salutare hanno il potenziale di ridurre il tasso globale di demenza a livelli inferiori alle attuali proiezioni, il problema dell'Alzheimer è ancora enorme. Nei prossimi anni, la popolazione over-60 supererà il miliardo. Entro la metà del secolo, raddoppierà a due miliardi. E, a livello globale, il segmento demografico in crescita più rapida è la folla degli over-80, conosciuti anche come i "vecchi più vecchi". E poiché l'Alzheimer è proprio legato all'invecchiamento, può rivelarsi l'incubo finanziario, sociale e sanitario del prossimo secolo.
Ma forse il futuro del pianeta che invecchia si può illustrare meglio attraverso gli aneddoti. Infatti, una recente serie di storie dal Giappone - il paese più antico del mondo - esprime in modo incredibile le conseguenze scioccanti dell'invecchiamento della popolazione. In Giappone, come è il caso della maggior parte del mondo, il tasso di natalità è in calo, mentre la longevità è in aumento. Questa coppia di forze dell'invecchiamento della popolazione sta producendo un nuovo equilibrio demografico tra giovani e anziani che il mondo non ha mai visto prima.
Caso in questione: nel 2020, le vendite di pannoloni supereranno quelle dei pannolini per bambini. Il mercato dei pannoloni è in crescita del 10% all'anno, e, a meno di un cambiamento sismico nelle pratiche di fertilità, il destino del Giappone è fissato a metà del secolo. E questo rivela in pratica che le politiche e le abitudini del secolo scorso non possono funzionare per la realtà demografica del 21° secolo. Gli anziani hanno bisogno di rimanere attivi e produttivi, sia per mantenere la salute personale che per contribuire alla crescita economica nazionale.
Il Giappone dovrebbe servire da campanello d'allarme per il resto di noi. Europa, Cina, Stati Uniti e gli altri sono appena dietro. L'AAIC potrebbe svolgere un ruolo di leadership, mostrando che l'Alzheimer non è solo un problema medico. Se l'AAIC riuscisse a fare questa "svolta politica", avrà buoni compagni e partner disposti. L'OCSE, l'Università di Oxford, e la Global Coalition on Aging hanno recentemente tenuto un simposio che ha riconosciuto le implicazioni fiscali dell'Alzheimer e ha auspicato che la popolazione che invecchia diventi motore di crescita economica.
Il G8 ha chiesto alla leadership mondiale di muoversi per battere l'Alzheimer, e i leader politici britannici e americani hanno ugualmente confermato il supporto.
I tempi sono maturi, per così dire, perchè l'Alzheimer's Association allarghi la portata della sua conferenza e sposi la comunità scientifica esoterica con i leader della politica, dell'economia, del giornalismo, e altro ancora. Se vogliamo risolvere uno dei problemi più difficili del 21° secolo, si deve pianificare un diverso tipo di conferenza nel 2014. Come abbiamo imparato dall'HIV/AIDS, le scoperte scientifiche e mediche hanno bisogno di slancio politico per fare una vera differenza.
Pubblicato da Michael Hodin in Huffington Post (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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