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Facciamo che Eravamo

Paolino, il nipote, e Aldo, il nonno, vanno tutti i giorni ai giardini.

Un pomeriggio, il bambino non aveva ancora cinque anni, nonno Aldo non ricorda più la strada per tornare a casa.

Paolino crede che sia uno scherzo del nonno, cui piace molto giocare con lui a facciamo che eravamo: pirati, indiani, cuochi che impastano polpette di sabbia, cavalieri erranti e maghi.

Quel giorno, pensa Paolino, perché non essere quelli che si sono persi e non sanno più la strada di casa come Pollicino e i suoi fratelli? Non era un gioco, ma l’inizio di una malattia che si chiama Alzheimer.

Paolino e nonno Aldo non sarebbero più andati insieme ai giardini.

Passa il tempo e i ricordi volano via sempre più veloci dalla testa di nonno Aldo, che certi giorni non riconosce più chi ha di fronte.

Nemmeno Paolino che, oggi tutti chiamano Paolo, lo invita a giocare a facciamo che eravamo nonno e nipote. “Adesso lo so, le notizie che volano via dalla testa quando si è vecchi hanno un nome. La memoria burlona di nonno Aldo ha un nome. Quel nome è Alzheimer” scrive Paolo, ormai dodicenne, raccontando in prima persona quando, di anni ne aveva tre, ha visto trasformarsi suo nonno Aldo.

E testimoniando come i bambini, più degli adulti, inventano strade nuove per restare in relazione con una persona cara.

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