Seconda parte del post "Un nuovo modo di pensare alla demenza".
Abbiamo l'abitudine di pensare al passato come se fosse finito. Si suppone che la memoria sia statica. Il passato può essere inchiodato a date, nomi e azioni completate, dopo tutto.
Ma, mentre virava verso l'Alzheimer, mia mamma aveva il suo passato che cominciava ad andare e venire come i personaggi di un film su cui il regista ha perso il controllo.
O, per dirla in altro modo, i suoi sè passati non erano come istantanee. Diventavano attivi. Dicevano e facavano le cose nel presente. E le cose che faceva e diceva spesso non avevano alcun senso letterale. Non c'è da stupirsi. Diciamo che se nel 2004 emergeva il sè di quando aveva 30 anni, era un sè del 1950: luogo diverso, tempo diverso, questioni diverse.
Un'estate abbiamo portato la mamma a Kinhaven nel Vermont, dove il nostro figlio Jack di 17 anni stava frequentando un campo musicale di sei settimane. Siamo entrati nel campo giusto in tempo per il concerto di dopo cena. Quando siamo usciti dalla macchina, Jack e un gruppetto di suoi amici adolescenti ci sono corsi incontro attraverso il prato. Erano abbronzati e a piedi nudi, vestiti di bianco, come facevano nei concerti.
Mia madre ha fissato Jack e poi le ha gettato le braccia al collo dicendo "Come stai, Mike?". E lui perplesso: "Sto bene. Grazie, nonna. Ma il mio nome è Jack". Per l'intero weekend, mia madre si è ostinata a chiamare nostro figlio «Michael». Io non credo che fosse un errore casuale. Michael era il mio fratello maggiore, il primo figlio di mia madre, morto anni prima. Dopo il concerto, tenevo il braccio di mia madre mentre salivamo le scale. "Dov'è Mike?", lo stava cercando. "E' Jack", la corressi io. "Voglio vedere Mike", pignucolava tristemente.
Un estraneo nel corpo di mia madre?
Avrei potuto ignorare tutto questo come frutto di fantasia. Avrei potuto dire a me stessa che mia madre aveva delle allucinanazioni. Sarebbe stato spaventoso. Forse avrei dovuto contraddirla allora, arrivando probabilmente ad una lotta, o peggio, a pensare a lei come ad un estraneo nel corpo di mia madre.
Invece, mi è venuto in mente che avrebbe potuto star rivivendo nella fantasia un conflitto del suo passato. Mia madre cercava di proteggere i suoi figli amati. Michael era asmatico quasi dalla nascita. Il dono di infermiera di mia madre l'ha tenuto in vita fino all'età di diciotto anni. Poi se n'era andato al college, dove è sopravvissuto solo una settimana. Non è sorprendente che mia madre non abbia mai superato questo dramma?
Quel week-end a Kinhaven, con la visione di Jack, che aveva quasi la stessa età di Michael quando è morto, deve aver catapultato la mamma nel suo sè più giovane. Lei lo vedeva come il figlio che aveva cercato di proteggere così a lungo.
Con l'emergere dei Sé passati della mamma, ricordo il passato
Forse non è una sorpresa che, mentre osservavo i sè passati della mamma apparire, mi ricordavo il mio passato. Le nostre storie, dopo tutto, erano state vissute in tandem. Quando Michael è morto avevo sedici anni. Ma anche dopo ero così occupata con la casa, il lavoro e i bambini, che non avevo pensato a lui per decenni. Sentire mia madre che chiamava mio figlio "Michael", improvvisamente mi ha fatto ricordare molti dettagli dal fine settimana in cui è morto.
Più tardi, quando mia madre mi parlò dei ricordi vividi di un uomo che l'aveva chiamata, anche se si è rivelata pura immaginazione, ho ricordato le storie che mia madre mi aveva raccontato delle sue prime esperienze con l'innamoramento. E io ho ricordato vividamente i miei anni in adolescenza quando avevo iniziato ad avere i primi appuntamenti sotto la sua supervisione.
Il modo in cui mia madre continuava a riportare in vita il passato ha consentito di connetterci. Ci sono "andata" lì con lei. E quel legame ha impedito che ci sentissimo isolate. Ci permetteva di osservarci l'un l'altra e sentirci capite. Tutto questo era impagabile per la mamma. Ha spesso detto quant'era grata.
Più tempo passavo con lei, perchè aveva bisogno di più assistenza, più accettavo l'andirivieni dei suoi diversi sé del passato. E più sentivo dei suoi sè del passato, più erano i particolari che richiamavo dal mio passato. Questo era incredibile e significativo per me perché non avevo mai riflettuto molto sul mio passato. Non ne avevo avuto il tempo. Mi ero concentrata sulla scuola di specializzazione, avevo allevato un paio di bambini, mi ero occupata della casa, e avevo pubblicato dei libri. Poi, improvvisamente, nel rallentare per prendermi cura della mamma, ho avuto il tempo di riflettere sulla mia storia. Ho cominciato a capire quanto fortemente mi aveva influenzato.
Pensare alla memoria come una ricompensa
Non mi aspettavo alcun compenso nel prendermi cura di mia madre durante quel decennio con Alzheimer. L'amavo e sapevo semplicemente che dovevo farlo. Ma uno dei regali più sorprendenti di quegli anni trascorsi ad occuparmi della mamma, mentre scendeva nel mondo dell'Alzheimer, è stato un nuovo senso della mia propria identità. Questo, e quegli ultimi collegamenti con mia madre sono stati due dei doni di quel decennio, doni che sono rimasti.
Fonte: Jeanne Murray Walker, PhD, in Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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