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Il farmaco che 'salverà' la memoria e i ricordi

Si chiama Igf-2. Una molecola che sembra capace di rafforzare i ricordi. Nei topi. Ma anche potenzialmente utile contro Alzheimer e Sla. Ce la racconta la scienziata italiana Cristina Alberini che l'ha scoperta nel suo laboratorio di New York. E ha fondato una start up per dimostrare che funziona anche sull'uomo

IGF 2 interaction with aging

"Con una semplice iniezione siamo in grado di creare memorie più forti e durature". Lo spiega Cristina Alberini, aggiungendo che "la stessa molecola ci ha mostrato ottimi risultati in diversi disturbi patologici". Risultati confermati da vari ricercatori, sebbene per ora i test siano stati condotti solo su modelli animali. Alberini è professoressa di neuroscienze alla New York University e si occupa di capire i segreti della memoria a lungo termine. Così ci ha raccontato uno scenario che non sembra più tanto lontano.

 

Cominciamo da quello che avete scoperto.

"Abbiamo individuato un meccanismo, che chiamiamo "insuline-like Growth Factor 2" (Igf-2), in grado di aumentare le memorie in modo significativo. Questa molecola sapevamo che è coinvolta in diverse fasi dello sviluppo umano, ma ora abbiamo visto che nel cervello rimane espressa a livelli abbastanza elevati anche nella fase adulta e, appunto, è essenziale per formare le memorie a lungo termine".

 

Vuole dire che avete trovato il farmaco della memoria?

"Esatto! Abbiamo visto che le memorie così potenziate sono anche flessibili, come quelle fisiologiche. Inoltre, essendo una proteina che passa la barriera ematoencefalica, Igf-2 arriva al cervello anche con un'iniezione sottocutanea, come per l'insulina".

 

Non c'è il pericolo che rimanga nell'organismo?

"No, dopo un po' la proteina torna a livelli basali ma, almeno nei topi, i risultati si mantengono per settimane".

 

Quali sono i possibili aspetti terapeutici?

"Abbiamo testato la proteina, con ottimi risultati, su modelli dei disturbi del neurosviluppo e della sindrome di Angelman. I risultati sono positivi per diversi ambiti cognitivi: non solo per le memorie dichiarative, ma anche per la memoria di lavoro, per le interazioni sociali e per alcuni disturbi motori. È l'esempio di come la ricerca di base porti a scoperte difficilmente prevedibili, ma di enorme importanza clinica. Altri laboratori hanno applicato l'Igf-2 anche in modelli di Alzheimer o di sclerosi laterale amiotrofica, malattie che presentano una carenza di questa proteina".

 

Una sola molecola ha tutti questi aspetti positivi?

"Igf-2 sembra agire sulla regolazione del metabolismo proteico dei neuroni, fondamentale per le funzioni fisiologiche del cervello, come la memoria. Per le memorie a lungo termine è necessario il processo (transitorio) di sintesi proteica: se lo blocchiamo dopo l'apprendimento, queste memorie non si formano".

 

Ci spiega come funziona?

"Igf-2 governa la cooperazione fra sintesi e regolazione proteica, un equilibrio fondamentale, alla base del potenziamento o della depressione a lungo termine, principali meccanismi cellulari della memoria. Un aspetto fondamentale è che le patologie in cui Igf-2 ha degli effetti positivi presentano un problema comune: l'accumulo di proteine nel cervello".

 

I puntini cominciano a unirsi...

"Siamo partiti da una ricerca di base fondata sulla biologia della memoria a lungo termine. Abbiamo anche studiato il recettore, che è il bersaglio, così come altri ligandi che lo attivano, e oggi possiamo disegnare diverse sostanze che hanno la stessa funzione".

 

Avete fatto esperimenti negli umani?

"I dati dicono che alterazioni del metabolismo proteico nel cervello sono comuni a molte malattie, comprese le neurodegenerazioni. Queste alterazioni portano all'accumulo di proteine. Ora è importante passare dalla ricerca allo sviluppo del potenziale farmaco. Per questo ho dato il via a una company per colmare il gap tra gli studi di laboratorio e le sperimentazioni, un gap che troppo spesso lascia le cose in sospeso. Inoltre, abbiamo iniziato a studiare un altro ambito: la biologia della memoria durante le prime fasi dello sviluppo, aprendo una via nuova ed entusiasmante".

 

Di che cosa si tratta?

"Parliamo della biologia del cervello dei neonati, che non hanno un cervello in miniatura ma un cervello diverso, dalle connessioni alla mielina: si sviluppa moltissimo dopo la nascita, anche e soprattutto con l'esperienza. In questa fascia d'età le memorie si formano ma vengono rapidamente dimenticate. Per esempio, quando i bambini incontrano qualcuno, se l'esperienza non viene ripetuta, se ne dimenticano. Ma con i giusti stimoli le memorie ritornano. Per di più abbiamo scoperto che la biologia sottostante è quella tipica dei periodi critici dello sviluppo".

 

Cosa si intende?

"Sono periodi di estrema plasticità neuronale, in cui una funzione si deve sviluppare, altrimenti insorgono alterazioni. Due esempi riguardano le funzioni sensoriali: visione e linguaggio. Bambini esposti a diverse lingue potranno parlarle in futuro in modo equivalente. Possiamo quindi dire che anche gli apprendimenti hanno un periodo critico: durante quella finestra temporale le esperienze formano le nostre capacità di apprendere e memorizzare".

 

Emergono importanti aspetti fisiologici legati all'educazione e alle esperienze: è così?

"Questa potrebbe essere la causa dell'individualità, perché ognuno di noi ha una gamma di esperienze diverse. Le esperienze ripetute, in particolare, sono quelle che formano le nostre abilità e capacità, inizialmente in modo quasi totalmente inconscio".

 

C'è solo un periodo critico iniziale?

"I periodi critici, in realtà, si susseguono, perché durante la crescita si apprendono schemi sempre più complessi, fino a quando il sistema prefrontale è formato, intorno ai 25 anni, per le funzioni cognitive più complesse e astratte".

 

Ha citato l'importanza dei modelli di base. Che ruolo hanno avuto?

"Sin dall'inizio di questi studi, circa 50 anni fa, sono stati utilizzati modelli molto semplici, come nel laboratorio del futuro Nobel, Eric Kandel, alla Columbia University di New York. Lì ho svolto il mio dottorato, lavorando sull'Aplysia californica, una lumaca di mare. Il suo sistema nervoso si è dimostrato determinante per comprendere le basi cellulari e molecolari dell'apprendimento e della memoria. In seguito, siamo passati a studiare sistemi più complessi, come quelli dei roditori".

 

Lo studio della memoria avanza in molte direzioni. Qual è la vostra?

"Ci siamo focalizzati sui meccanismi biologici. Io sono una biologa che proviene dal campo dell'immunologia e ho quindi adottato approcci diversi da altri, più molecolari, rispetto a quelli più classici come elettrofisiologia o farmacologia. Inoltre, le componenti biologiche possono variare nelle aree del cervello e così la presenza di diversi tipi cellulari: siamo portati a pensare ai neuroni, ma ci sono anche cellule gliali, come astrociti, microglia o oligodendrociti, oltre alla componente vascolare".

 

È un sistema complesso: quale filo si deve tirare per primo?

"C'è un'attenzione particolare su come il cervello crea memorie a lungo termine. Non ricordiamo tutto, anzi, la maggior parte delle cose le dimentichiamo, ed è importante che sia così. Le memorie servono a gestire le risposte a ciò che ci succede nel presente".

 

 

 


Fonte: Marco Cambiaghi in Messaggero Veneto (14 luglio 2023)

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