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Le cellule che ringiovaniscono il cervello: nuove scoperte sull'AlzheimerL'Alzheimer è una malattia neurodegenerativa manifestata da vari processi patologici neuronali e da un declino significativo della funzione cerebrale.


Degli aggregati di proteina amiloide-beta ('placche') si accumulano all'interno e tra le cellule cerebrali. A causa sia dei cambiamenti strutturali che dell'indebolimento dei percorsi di comunicazione chimica, si perdono le giunzioni delle reti neuronali (sinapsi).


Inoltre, le proteine ​​citoscheletriche degli assoni (tau) perdono la loro struttura normale, compromettendo la loro funzione e causando una morte neuronale massiccia.


Il cervello è un organo fragile e unico che ha un proprio sistema immunitario appositamente progettato, separato dal resto del corpo. Il ruolo primario delle cellule immunitarie del cervello, chiamate microglia, è quello di riconoscere, scindere e smaltire le varie sostanze che non funzionano correttamente nel cervello, dalle cellule morte ai vari detriti cellulari e agli aggregati di proteine.


Eppure l'attività delle microglia è regolata in modo stretto per consentire loro di smaltire i rifiuti senza danneggiare i neuroni sani adiacenti che mantengono importanti informazioni. La gamma delle loro attività - dalla funzione immune essenziale, al rischio di danneggiare i neuroni sani dovuta all'iperattività - nei giovani individui sani è ben equilibrata, ma può diventare anomala nell'invecchiamento e nelle condizioni neuropatologiche.


Una domanda fondamentale è: perché le cellule immunitarie del cervello non sono efficaci nella riparazione dei danni associati all'Alzheimer?


L'Alzheimer è spesso associato all'infiammazione locale. In assenza di una chiara comprensione del contributo delle cellule immunitarie sistemiche e cerebrali alla patologia della malattia, molti scienziati hanno interpretato l'infiammazione del cervello locale presente nell'Alzheimer come un esito negativo di microglia eccessivamente aggressive e dell'entrata incontrollata di cellule immunitarie dalla periferia al cervello. Sono stati quindi tentati, senza successo, trattamenti anti-infiammatori, lasciando perplessi i ricercatori del settore circa la funzione delle cellule immunitarie nelle malattie neurodegenerative.


La Prof.ssa Michal Schwartz del Dipartimento di Neurobiologia dell'Istituto Weizmann di Scienze, ha dimostrato negli anni che mobilitare le cellule del sistema immunitario sistemico non sempre causa danni, e infatti, se ben controllato, può anche aiutare a far fronte a varie patologie cerebrali. Ma la domanda sul ruolo delle cellule immunitarie del cervello, le microglia, rimane aperta: sono utili in sé stesse? o inutili? o forse dannose?


La Prof.ssa Schwartz, insieme al Prof. Ido Amit del Dipartimento di Immunologia e ai loro gruppi di ricerca (i ricercatori post-dottorato Drs. Hadas Keren-Shaul e Assaf Weiner, e gli studenti di ricerca Amit Spinrad, Orit Matcovitch-Natan e Raz Dvir-Szternfeld) danno ora una risposta a questa domanda, insieme ad un nuovo approccio di ricerca, per trovare i modi per curare l'Alzheimer.


Gli scienziati hanno studiato topi geneticamente modificati, modello della malattia, il cui patrimonio genetico comprende cinque geni umani mutanti che causano una forma aggressiva di Alzheimer. Il cervello di questi topi presenta caratteristiche simili a quelle presenti nel cervello degli umani affetti da Alzheimer. Un ostacolo significativo alla comprensione dei ruoli delle cellule immunitarie nell'Alzheimer e in altre malattie neurodegenerative, è la capacità di distinguere accuratamente tra cellule simili con funzioni diverse, e quindi capire chi è amico e chi è nemico.


Gli scienziati hanno impiegato una tecnologia avanzata di sequenziamento genomico a cellule singole - un 'microscopio genetico' sviluppato nel laboratorio del Prof. Amit negli ultimi anni - che consente agli scienziati di sequenziare completamente il materiale genetico di singole cellule, consentendo loro di identificare la funzione unica di queste cellule immunitarie, anche quando sono estremamente rare: in altre parole, separare il grano dal loglio.


In questo studio gli scienziati hanno sequenziato il contenuto RNA di tutte le cellule immunitarie nel cervello dei topi con Alzheimer, un sforzo che, fino a poco tempo fa, non avrebbe potuto essere intrapreso. Poiché l'Alzheimer è una malattia progressiva, il team ha ripetuto questo esperimento in momenti diversi nel tempo durante la progressione della malattia e ha confrontato i risultati con quelli dei topi sani.


Ciò li ha portati ad una scoperta affascinante: un sottoinsieme di cellule microgliali uniche non presenti nei topi sani, e che cambiano gradualmente con la progressione della malattia. Hanno chiamato queste cellule «microglia associate a malattia» (DAM).


Gli scienziati hanno scoperto che lo sviluppo di questo tipo unico di cellule dipende dalla riduzione dell'espressione delle proteine ​​regolatrici (punti di controllo) che frenano l'attività delle microglia nel cervello e da un aumento dell'espressione di un complesso proteico che riconosce l'accumulazione di lipidi estranei (molecole di tipo grasso) e cellule morte, tra cui una proteina chiamata TREM2. Una mutazione in questa proteina è accompagnata da un inizio precoce e drastico della malattia.


Quando i ricercatori, in collaborazione con il Prof. Marco Colonna della Facoltà di Medicina della Washington University di St. Louis, hanno usato un topo modello di Alzheimer che non esprime TREM2, la microglia non è riuscita ad acquisire i percorsi di riparazione delle cellule DAM per rimuovere le placche amiloidi. Un esame del cervello del topo modello di Alzheimer e un postmortem di pazienti con Alzheimer ha svelato che queste cellule uniche si trovano in prossimità degli aggregati di placche amiloidi, suggerendo una connessione tra il meccanismo che porta all'attivazione di queste microglia uniche e la loro modalità di attività.


In effetti, le microglia recentemente scoperte esprimono molte proteine ​​precedentemente classificate come 'marcatori di rischio' di malattia nei pazienti di Alzheimer, che evidenziano il loro importante ruolo benefico in questi pazienti. In altre parole, le mutazioni delle proteine ​​espresse da queste cellule provocano disfunzioni nell'eliminazione delle placche e sono quindi accompagnate da una insorgenza precoce e da una maggiore gravità della malattia.


Il Prof. Amit spiega:

"Questo ampio insieme di scoperte ci porta a capire ora che un certo fallimento [genetico o ambientale] del processo di sotto-regolazione dell'espressione delle proteine ​​regolatrici [punti di controllo] non consente una sufficiente sovra-regolazione dei percorsi di riparazione, portando all'incapacità delle cellule DAM identificate di eseguire in modo appropriato le loro attività di smaltimento delle placche.

"Questo è un concetto completamente nuovo per comprendere l'Alzheimer, sulla base di modelli guidati da dati che consentono una comprensione meccanica del ruolo centrale delle cellule microgliali nella malattia e sulle informazione che i controlli microgliali, che sono indispensabili per la normale funzione, diventano un ostacolo nel cervello malato".


Secondo la Prof.ssa Schwartz, queste scoperte delineano nuovi bersagli potenziali nella ricerca di una terapia per l'Alzheimer:

"Identificando le proteine ​​chiave che impediscono la transizione delle microglia per diventare DAM, cercheremo i metodi molecolari per ridurre selettivamente la loro espressione / attività, migliorando così i percorsi di riparazione. A sua volta, ciò comporterebbe l'accelerazione dello sviluppo delle cellule DAM, un aumento del loro numero e di efficacia nella rimozione della 'placca' nel cervello e, possibilmente, il taglio dei vari sintomi della malattia. Questi, come pure gli obiettivi che attivano i loro percorsi fagocitici, potrebbero servire come potenziali nuovi obiettivi per lo sviluppo di farmaci".


"Inoltre", dice il dottor Keren-Shaul, uno degli autori principali dello studio, "le nostre ricerche attuali si stanno concentrando sull'individuazione delle molecole ottimali da mettere a punto".


"Questa sfida è fondamentale per le indagini attuali dei nostri gruppi di ricerca"
, dicono i due leader del team.

 

 

 


Fonte: Weizmann Institute of Science (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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