Perché diventiamo gelosi, paurosi o ansiosi? Com'è che siamo in grado di gestire idee concorrenti, proiettare le nostre potenziali azioni nel futuro e decidere una linea d'azione? Cosa succede all'interno del cervello, che si manifesta nelle afflizioni della depressione, del Parkinson o dell'Alzheimer? Da secoli le menti curiose di filosofi e scienziati stanno cercando le risposte a queste domande.
Nel quarto secolo prima di Cristo, le facoltà mentali erano separate dal cervello. Pensiero, ragione e altre capacità della mente erano associate al cuore. Il cervello era un organo secondario, un agente rinfrescante e uno spazio in cui lo spirito avrebbe potuto fluire liberamente. Nel primo secolo dopo Cristo sono state identificate le strutture di base del cervello. E nel secondo, l'attività mentale è stata assegnata adeguatamente al cervello.
I medici del Medioevo si focalizzavano sulle cavità, chiamati ventricoli, credendo che ognuno ospitasse un'attività mentale diversa. Il Rinascimento è arrivato con dissezioni più frequenti e con diagrammi dettagliati. E tra il 16° e l'inizio del 17°, gli anatomisti hanno contribuito con termini come cerebrum, cerebellum e midollare. Si sapeva poco del rapporto tra strutture e funzionalità cerebrali.
Nella Vienna del XVIII secolo, il medico Franz Joseph Gall ha sviluppato teorie di anatomia e funzione cerebrale che hanno influenzato fino ad oggi il modo in cui pensiamo al cervello. Come anatomista esperto, Gall ha visto il cervello come un amalgama di parti specializzate, ciascuna con una funzione mentale o emotiva specifica. Nella concezione di Gall del cervello, ogni facoltà (affezione, vanità, abilità musicale) era spiegata dalle dimensioni e dallo sviluppo della rispettiva regione del cervello. Le teorie di Gall alla fine si sono sviluppate nella frenologia, lo studio delle gobbe e dei solchi del cranio, che secondo Gull riflettevano la struttura, e quindi, la funzionalità e il carattere del cervello sottostante.
La pratica della frenologia è stata alla fine abbandonata. Ma l'idea che la funzione può essere localizzata in regioni cerebrali specializzate è persistita. Pierre Paul Broca (medico, anatomista e antropologo francese) ha osservato due pazienti: Louis Victor Leborgne e Lelong. A trent'anni, Leborgne non era in grado di produrre parole o frasi oltre a pronunciare ripetutamente "tan". Lelong era in grado di dire cinque parole ("sì", "no", "tre", "sempre", e "lelo"). In entrambi gli uomini sono state identificate da postumo lesioni nel lobo frontale laterale e l'area della corteccia (ora chiamata 'area di Broca') è stata identificata come specializzata per la discorsività.
L'anatomista tedesco Korbinian Brodmann ha segregato la corteccia in aree funzionali in base alla struttura istologica e all'organizzazione delle cellule. Sir David Ferrier ha stimolato elettricamente il cervello di animali per sviluppare una mappa completa della corteccia motoria. Negli anni più recenti, tecnologie come la fMRI (scansione a risonanza magnetica funzionale), che consente ai ricercatori di osservare le regioni del cervello 'illuminarsi' durante la risoluzione dei problemi, il riconoscimento di volti, la reazione a gruppi di parole, o nel pensare a soldi, sesso o Dio, hanno alimentato questa visione a coltellino svizzero del cervello.
Fin da Gall e la frenologia, alcuni neuroscienziati hanno sempre contestato la visione modulare del cervello. Oppositori prominenti degli annali della neuroscienza includono figure come Marie Jean Pierre Flourens, Camillo Golgi e Karl Lashley. Forse i maggiori contributi a un modello distribuito delle funzioni cerebrali provengono dal neuroscienziato spagnolo Justo Gonzalo e da ricercatori come Anthony McIntosh. Gonzalo ha studiato diverse lesioni corticali nei pazienti e ha osservato gradienti funzionali all'interno del sistema sensoriale che non potevano essere spiegati dalle teorie tradizionali di localizzazione.
Gli scienziati come McIntosh usano la neuroscansione per osservare matematicamente le interazioni (o covarianza) tra regioni del cervello durante un compito. L'aumento del flusso sanguigno nella corteccia uditiva mentre ascolta un suono, ad esempio, è correlato con l'attività nelle aree visive del cervello. L'attività sincrona in diverse regioni cerebrali suggerisce che le rispettive regioni contribuiscono ad eseguire quella funzione. In questa visione, il cervello è organizzato in reti funzionali, con diverse parti che eseguono porzioni dell'attività.
La nostra comprensione di come funziona il cervello detta il modo in cui pensiamo alle malattie e guida le domande che i ricercatori si fanno quando cercano di capire come funzionano le malattie, anche quelle cerebrali. Se pensiamo che le facoltà e le funzioni mentali siano segregate in regioni definite, cerchiamo le regioni da associare con una funzione o una facoltà. Se la tristezza appartiene a una parte del cervello, i sentimenti che portano alla depressione possono essere associati a una regione del cervello e puntati per il trattamento. Allo stesso modo, se una regione distinta del cervello è responsabile della memoria o della funzione motoria, possiamo capire e trattare l'Alzheimer e il Parkinson identificando e puntando la regione del cervello responsabile.
Oggi prevale una visione ibrida tra specializzazione funzionale ed elaborazione distribuita. Le regioni cerebrali probabilmente partecipano a molti aspetti diversi dell'attività mentale e della cognizione; alcune sono più specializzate di altre per alcuni compiti. E la neuroplasticità come risultato di una ferita o dell'esperienza può modificare il paesaggio cerebrale, cambiando il grado di specializzazione o quale area può essere capace o responsabile.
Il grado in cui le regioni del cervello funzionano insieme e si specializzano negli aspetti di un calcolo possono essere visualizzate usando la teoria della rete. Olaf Sporns, professore di scienze psicologiche e cerebrali dell'Indiana University, spiega l'utilità della teoria della rete nella scienza del cervello: "... questi approcci offrono informazioni fondamentali sui mezzi con cui elementi semplici si organizzano in modelli dinamici, aumentando notevolmente le informazioni che possono essere acquisite considerando i singoli elementi isolati".
La teoria della rete viene applicata ai dati acquisiti dalla fMRI (una misura delle molecole d'acqua e una visione dell'attività cerebrale). I dati della MRI vengono quindi segmentati in regioni cerebrali, chiamati nodi, e viene calcolata la grandezza del flusso da un nodo all'altro. Le connessioni tra i nodi sono 'bordi'. Più connessioni ha una regione del cervello, più grande è il nodo. E più forte è la connessione tra le regioni del cervello, più spessa è la linea tra i nodi. Riuscire a visualizzare matematicamente le connessioni tra le regioni cerebrali influenza come comprendiamo e approcciamo la ricerca sulle malattie cerebrali e le afflizioni mentali.
La ricerca si sta muovendo sempre più verso le connessioni. Le regioni cerebrali sono collegate tra loro da tratti di materia bianca, fasci di fibre nervose racchiuse individualmente in una sostanza grassa chiamata mielina. La mielina supporta la funzione dell'assone (consentendo agli impulsi elettrici di percorrere lunghe distanze) e aumenta la velocità con cui le informazioni possono passare tra le regioni del cervello. Molte malattie del cervello che in precedenza si riteneva coinvolgessero aspetti specifici di funzione neurale o regioni del cervello, sono ora legate a connessioni alterate.
Due caratteristiche patologiche dell'Alzheimer sono le placche di amiloide e i grovigli neurofibribrillari: segni di degrado e morte delle cellule nervose che portano a difficoltà di memoria, problemi linguistici, disorientamento e oscillazioni dell'umore che si aggravano progressivamente nel tempo. Una nuova ricerca che ha esaminato gli oligodendrociti e la mielina (i costituenti primari della materia bianca) suggerisce che sono le anomalie in queste cellule e strutture a contribuire probabilmente alla patologia. E l'Alzheimer non è solo.
Sono ora riconosciuti come collegati delle anomalie della materia bianca il Parkinson (che si ritiene porti alla morte dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra), il disturbo depressivo grave (collegato a sistemi monoaminergici, alla disfunzione immunologica e all'asse ipotalamo-pituitaria), il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo di panico, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo stress post-traumatico e il disturbo d'ansia sociale, tutti con meccanismi patologici legati a una zona cerebrale o a un'altra.
Perché il cervello funzioni in modo ottimale, il tempismo è tutto. Informazioni sotto forma di impulsi elettrici corrono tra aree del cervello, in arrivo e in partenza da diversi punti in contemporanea. Un arrivo troppo tardi o troppo presto manda rete nel disordine e la funzione cerebrale non può essere eseguita. La velocità, e quindi i tempi, degli impulsi elettrici lungo i tratti di materia bianca, sono dettati dalla mielina (il grasso che avvolge le fibre nervose) e dalle cellule chiamate oligodendrociti (i produttori di mielina). Con un involucro extra o più lungo di mielina, l'impulso è accelerato. Con un involucro più breve, o minore, l'impulso viene rallentato.
Il degrado dei collegamenti tra le regioni cerebrali può favorire anomalie in aree specifiche, portando al degrado neurale. Oppure, il degrado della materia bianca può sorgere come sintomo di cattiva salute dei neuroni, avviando un circolo negativo di retroazione di deterioramento in cui ciascuno integra l'altro. L'evento iniziatore potrebbe anche differire tra le condizioni cerebrali. Solo più ricerche possono rispondere a queste domande.
Ciò che è chiaro è che la teoria della rete ha ampliato la nostra comprensione di come funziona il cervello e ha permesso di farci più domande. Domande che migliorano la nostra comprensione della malattia e alla fine portano a trattamenti migliori e più efficaci.
Fonte: Nathan Michaels PhD (neuroscienziato), in Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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