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Pensiero esteso: può esserci pensiero al di fuori della mente?

thinking beyond head

Otto ha il morbo di Alzheimer, e non riesce a ricordare tanto bene le cose. Per andare in giro, tiene un taccuino nella tasca posteriore. Quando vuole sapere come raggiungere un certo luogo per pranzare, semplicemente tira fuori il suo taccuino e guarda dove l'ha scritto. Ha fatto questo per anni, e lui può riuscire a muoversi bene nella sua vita quotidiana. Quando c'è qualcosa che dovrebbe ricordare, tira giusto fuori il suo taccuino, che ha i dettagli importanti della sua vita scritti per un facile accesso.


Otto non è una persona reale. Fa parte di un esperimento mentale dei filosofi Andy Clark e David Chalmers.


Otto che guarda la posizione del suo ristorante preferito sul suo taccuino, secondo Clark e Chalmers, è paragonabile ad una persona senza un disturbo della memoria che tira fuori la posizione dalla sua memoria. Se chiediamo "Otto sa dov'è il suo ristorante preferito?”, potremmo essere tentati di dire: "No, l'ha solo scritto”.


Ma immagina di fare a te stesso la stessa domanda. Se non riesci a recuperare immediatamente il luogo, se devi “consultarlo” nella tua memoria, allora quanto è diverso il processo di recupero della tua memoria da quello di Otto? In un certo senso, Otto conosce (o crede di conoscere) qualcosa che è esterno al suo cervello: dov'è il suo ristorante preferito.


Il taccuino ha lo stesso ruolo centrale e importante nella vita di Otto che la memoria ha nella tua o nella mia. Ogni volta che c'è qualcosa che devo ricordare, mi rivolgo all'interno per richiamarla; invece Otto si rivolge all'esterno. Il famoso esempio del taccuino di Otto è centrale per l'Extended Mind Hypothesis (Ipotesi Mente Estesa), che poggia sul principio di parità:

“Se, quando siamo di fronte a un compito, una parte del mondo funziona come un processo che, se fosse fatto in testa, non avremmo alcuna esitazione a riconoscere come parte del processo cognitivo, allora quella parte del mondo è ... parte del processo cognitivo” (Clark and Chalmers, 1998).


L'Ipotesi Mente Estesa è controversa, e non tutti i filosofi la condividono. Ma è un puzzle al quale sono tornato molte volte dopo averne letto la prima volta alla scuola di specializzazione, perché mi costringe a considerare cosa è in realtà il pensiero (un “processo cognitivo”). Questa idea è particolarmente importante dato il modo in cui la tecnologia si è sempre più inviluppata nella nostra vita.


Conosco il numero di telefono di mia sorella? Beh, se ne ho bisogno, posso rapidamente e facilmente accedere nel mio cellulare. Ma se non ce l'ho con me, non potrei saperlo. So come arrivare a tutti i miei ristoranti preferiti? Alcuni posso raggiungerli da solo, ma per molti, devo ancora contare su una app che mi dà indicazioni sul mio telefono. So chi è stato il 13° presidente degli USA? In un tempo anche inferiore a quello necessario a ricordare quello che ho mangiato a colazione questa mattina, sono in grado di recuperare dalla mia “memoria elettronica”, il nome di Millard Fillmore.


Prendere sul serio l'idea della Mente Estesa mi impone di considerare quali sono le caratteristiche importanti del pensiero, oltre al solo fatto che è successo qualcosa nel cervello. Mi suggerisce che il buon pensare non è necessariamente essere in grado di tenere e manipolare molte cose nella testa; il buon pensare è una navigazione abile del mondo intorno a te, usando tutte le risorse che ti sono disponibili.


Non essere in grado di pensare significa non essere in grado di trovare le informazioni di cui hai bisogno, non essere in grado di prendere una buona decisione, non essere in grado di completare l'attività che hai di fronte. Scrivere una lista della spesa significa portare all'esterno la tua memoria. Non ricordare la lista della spesa è come non ricordare quello che volevi cucinare questa settimana, quando sei in piedi nel corridoio del supermercato. Sono entrambi atti di dimenticare.


Le implicazioni di questa riconcettualizzazione radicale hanno iniziato solo ora ad essere esplorate nel mio campo della psicologia sociale. A differenza della psicologia cognitiva, che tende a concentrarsi su processi interni, in gran parte solitari, la psicologia sociale sottolinea le interazioni. Applicando le idee della Mente Estesa alle interazioni sociali, possiamo considerare improvvisamente altre persone come parte del nostro pensiero.


Ad esempio, pensa a un marito e una moglie che tendono a ricordare ognuno cose diverse. Lui ricorda i compleanni dei figli, e lei ricorda quali bollette sono da pagare. In questo scenario, sono diventati parte del processo di pensiero l'uno dell'altro. Lei accede abilmente alle informazioni sul compleanno dei suoi figli, chiedendo al marito, che è facilmente accessibile. Lui accede abilmente alle informazioni sulle fatture della famiglia, chiedendo alla moglie. Insieme, essi condividono una memoria.


Che cosa succede se le tue decisioni su dove andare a mangiare fossero condivise con il tuo gruppo di amici, così che l'intero processo cognitivo che dovrebbe altrimenti essere fatto nella tua testa (pensare a diversi ristoranti, soppesare pro e contro, fare l'ultima scelta su quale preferisci) fosse fatto a livello del gruppo sociale? In realtà, penso di aver fatto prima quel po' di pensiero di gruppo.


Che dire se le tue preferenze fossero distribuite tra altre persone, così che le opinioni che ti formi degli altri fossero determinate attraverso il pensiero collettivo con un gruppo di amici già esistenti. Quando due amici incontrano una persona nuova, uno potrebbe chiedere all'altro, "Che cosa pensiamo di lei?” e tutti i processi di giudizio che si sarebbero altrimenti elaborati dentro la testa (riflettere sulla conversazione, cercare di trarre conclusioni su che tipo di persona era in altri contesti) sarebbero avvenuti al di fuori della testa nella conversazione.


La risoluzione collettiva dei problemi ha già iniziato a essere esplorata nella letteratura di ricerca sull'intelligenza collettiva.


Più in generale, questi esempi suggeriscono che dobbiamo essere più consapevoli del contesto quando studiamo le persone. Il pensare avviene attraverso l'interazione abile con l'ambiente, che comprende le persone che passano tempo con noi.


La realizzazione di qualsiasi compito particolare può avvenire di solito in diversi modi, e capire come risolverlo può coinvolgere la creatività e la capacità di adattamento, compresa la distribuzione flessibile di parti del compito attraverso gli oggetti e le menti di altre persone. Comprendere la situazione che trova una persona, e tutte le opportunità e le sfide che essa offre, è parte integrante del comprendere bene il pensiero.

 

 

 


Fonte: Alexander Danvers PhD, ricercatore postdottorato della University of Arizona.

Pubblicato su Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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