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Nell'Alzheimer i ricercatori guardano oltre l'amiloide

alzheimer by kscreationsAlzheimer's by kscreations (Fonte: deviantart.com)

Non si può negare che gli sforzi per risolvere l'enigma della terapia dell'Alzheimer siano stati a dir poco disastrosi: miliardi di dollari spesi e decenni di tempo con poche terapie che lo svelano.


Speranze suscitate, poi abbattute; esperimenti falliti, uno dopo l'altro.


Molti di questi studi puntavano l'amiloide, una proteina che si unisce in placche nel cervello con demenza. In qualche modo, l'idea che l'accumulo di amiloide causasse il morbo di Alzheimer (MA) dando il via a una cascata molecolare tossica ha influenzato le aziende farmaceutiche per decenni. [rif. 1]


Ma alcuni ricercatori all'inizio degli anni 2000 hanno rivolto la loro attenzione a monte. Sapendo che terapie efficaci sarebbero state lontane anni, hanno iniziato a cercare i biomarcatori che credevano comparissero prima della manifestazione dei sintomi clinici del MA. L'obiettivo finale, una volta individuati altri marcatori e sviluppate le terapie appropriate, sarebbe impedire alla malattia di progredire ulteriormente.


Sono stati esplorati molteplici biomarcatori con svariati usi potenziali: alcuni per identificare la malattia o il rischio di malattia molto presto nella cascata patologica, altri per mostrare se la terapia [2] funziona.


I ricercatori che esplorano nuovi segni biologici come metaboliti, disfunzione della barriera emato-encefalica e cambiamenti della retina non stanno dicendo di sbarazzarsi dei migliori standard esistenti: il sottotipo di amiloide chiamato amiloide beta-42, e i livelli di un'altra proteina chiamata tau.


Il loro obiettivo è invece trovare strumenti di rilevamento aggiuntivi, per ragioni sia umane che pragmatiche: 1 persona su 9 oltre i 65 anni ha il MA e la prevalenza della malattia è destinata a crescere esponenzialmente nei prossimi anni. [3]


Se gli ultimi 20 anni circa hanno evidenziato qualcosa sul MA, questo è la natura eterogenea della sua insorgenza. Può presentarsi nel quarto o nel settimo decennio della persona. Può condividere sintomi e mutazioni genetiche con altre demenze e malattie neurodegenerative, rendendo difficili le diagnosi e lo sviluppo del trattamento. [4, 5]


"Avevo la sensazione che sarebbe stato un problema difficile da risolvere", afferma il ricercatore di MA di Harvard  Dennis Selkoe MD, che sta studiando la malattia dalla metà degli anni '70. "Ma ero abbastanza ingenuo da pensare, come ogni altro giovane ricercatore, che entro 15-20 anni avremmo avuto un controllo migliore".


La ricerca sui biomarcatori è stata un esercizio di pazienza. Ogni ricercatore intervistato per questa storia ha dimostrato di essere a lungo termine sul problema. "Quali sono gli eventi molecolari sottostanti? Questa per me è la più grande sfida nella scienza moderna", afferma il radiologo Clifford Jack MD della Mayo Clinic, che studia il MA da 30 anni.


"Sì, sono piuttosto consumata [dal desiderio di trovare la soluzione]", aggiunge la nuova arrivata Sharon Fekrat MD, oculista della Duke University che si è imbattuta nella ricerca sul MA alcuni anni fa dopo aver notato differenze nella retina di gemelli identici. Uno dei due, con diagnosi di MA, aveva una grave perdita di vasi sanguigni nella retina rispetto al fratello non affetto.


Questi scienziati, la maggior parte sul carro dei biomarcatori da molti anni, credono che una volta che i sintomi del MA si manifestano, la malattia diventa refrattaria. Le decine di studi terapeutici falliti suggeriscono che potrebbero avere ragione. "Siamo in grado di rimuovere l'amiloide, ma non c'è alcun cambiamento nella cognizione", afferma Howard Federoff MD, professore di neurologia all'Università della California di Irvine.


Selkoe è d'accordo. "È come trattare un attacco di cuore con il Lipitor: non è possibile ripristinare le funzioni neurologiche una volta che le persone dimenticano".


La complessa patologia in atto nella demenza di MA è un labirinto neuroinfiammatorio, che forse riflette il motivo per cui è così difficile sviluppare trattamenti efficaci. Come hanno scritto gli autori di un recente commento su Nature Reviews Neurology [6], "Prove emergenti [hanno trovato l'esistenza di] disintegrazione assonale, disfunzione e degenerazione sinaptica, risposta immunitaria innata e neuroinfiammazione, disregolazione vascolare e delle membrane cellulari e disfunzione metabolica del cervello".


E sottolineano anche che, oltre all'amiloide, il cervello delle persone con MA spesso ha anche accumulo di altre proteine, come TDP-43 e alfa-sinucleina.


Parlando di tempo, ne trascorre molto tra la conversione dal cervello sano in uno affetto dal MA preclinico o lieve decadimento cognitivo, come viene chiamato. Nello studio DIAN-TU del 2012, [7] i ricercatori hanno scritto che anche il processo di malattia di tipo sporadico (esordio tardivo) inizia probabilmente più di 20 anni prima dell'inizio clinico della demenza. Quindi i ricercatori a monte potrebbero avere anni per esplorare i pazienti a rischio.


Il consenso tra i cacciatori di biomarcatori è che nessuna terapia singola fermerà l'Alzheimer. Non sarà un singolo laboratorio o un ricercatore. È probabile che sia uno sforzo congiunto.


"Spaziamo su una distesa di discipline, dalla scansione clinica alla proteomica, ai biomarcatori e alla genetica", ha dichiarato il neuropatologo John Q. Trojanowski MD/PhD, dell'Università della Pennsylvania. "La visione monocorde della malattia è quasi scomparsa".


La scoperta dei biomarcatori consolidati del MA richiede costose scansioni, non coperte dalle compagnie assicurative. La necessità di marcatori di ogni tipo (quelli associati a progressione, regressione, diagnosi e persino comorbidità) è cruciale, afferma Trojanowski, in particolare se sono più accessibili ai pazienti.


"I marcatori più convalidati e predittivi sono quelli che esaminano l'amiloide e la tau nei fluidi spinali o nelle scansioni tau o amiloide tramite PET, che costano 4.500 dollari ed espongono alle radiazioni"
, afferma John Morris MD, neurologo all'Università di Washington di St. Louis. "Questi sono biomarcatori molto potenti. Ma se volessi uscire nella comunità per vedere chi è a rischio ... avrei bisogno di biomarcatori di rilevamento più facili. Ecco dove entrano in ballo gli esami della retina o del sangue".


I ricercatori del laboratorio di Federoff [8] hanno scoperto che i livelli ematici di un certo numero di metaboliti sono ridotti nelle persone con MA. Questi includono istamina, asparagina, aspartato e citrullina, tutti coinvolti nei percorsi metabolici che regolano l'infiammazione, ritenuti una componente patologica chiave della malattia. Gli stessi risultati sono stati osservati in quelli con demenza preclinica e lieve decadimento cognitivo.


Per Federoff, la ricerca sui biomarcatori è incentrata sul modo in cui la disfunzione mitocondriale e l'infiammazione risultante contribuiscono al MA. [9] L'infiammazione è stata osservata nei campioni di cervello post mortem dei pazienti con MA [10], ma come inizia è tuttora ignoto. Può essere che l'amiloide inciti o promuova la formazione e la diffusione di proteine ​​tau e che la risposta infiammatoria del corpo a entrambi i depositi proteici causi la morte neuronale.


Un corpo crescente di ricerche suggerisce che il domino iniziale nella cascata del MA potrebbe essere un'infezione in età più giovene; l'amiloide è antimicrobico, dopotutto, e all'inizio la sua attività può aumentare per aiutare, per esempio, a eliminare un virus, solo in seguito provoca danni collaterali ai neuroni del cervello. [11,12]


Un'altra teoria collega la risposta infiammatoria osservata nel MA alla barriera emato-encefalica [13].


Ricercatori come il neuroscienziato Rudolph Tanzi di Harvard credono che possano esserci molteplici percorsi patologici verso il MA, che mandano tutti su di giri il sistema immunitario e portano a una infiammazione distruttiva. E il puro numero di potenziali biomarcatori esaminati supporta la sua opinione.


Il nostro 'ormone dello stress', il cortisolo, è un candidato in fase di studio, [14] come lo sono gli esami retinici più avanzati e una molecola proinfiammatoria chiamata 'proteina 1 simile alla chitinasi-3' (YKL-40). Un recente studio ha scoperto che la YKL-40 è presente nel liquido cerebrospinale 15-19 anni prima dei sintomi che emergono nei pazienti con MA [15].


Viene anche esaminata una proteina chiamata 'catena leggera del neurofilamento'. Di solito si trova negli assoni mielinizzati, ma si accumula anche nel liquido cerebrospinale delle persone con MA presintomatico. [16]


Tutti questi rappresentano potenziali biomarcatori che potrebbero essere testati anni prima che un individuo a rischio sviluppi sintomi di demenza.


I ricercatori non possono negare che anche tra le mutevoli maree patologiche, l'amiloide si accumuli nel cervello di MA. Solo sembra che non sia l'intera storia.

 

 

 


Fonte: Christine Bahls in Medscape (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Referenze:

  1. Mehta D, Jackson R, Paul G, et al. Why do trials for Alzheimer's disease drugs keep failing? A discontinued drug perspective for 2010-2015. Expert Opin Investig Drugs. 2017. Source
  2. Zvěřová M. Alzheimer's disease and blood-based biomarkers – potential contexts of use. Neuropsychiatric Dis Treat. 2018. Source
  3. Alzheimer's Association. 2016 AD facts and figures. Alzheimers Dement. 2016. Source
  4. Kunkle BW et al. Genetic meta-analysis of diagnosed Alzheimer's disease identifies new risk loci and implicates Aβ, tau, immunity and lipid processing. Nat Genet. 2019. Source
  5. Patel D, Mez J, Vardarajan BN, et al. Association of rare coding mutations with AD and other dementias among adults of European ancestry. Neurology. JAMA Netw Open. 2019. Source
  6. Hampel H, O'Bryant SE, Molinuevo JL, et al. Blood-based biomarkers for Alzheimer's disease: mapping the road to the clinic. Nat Rev Neurol. 2018. Source
  7. Bateman RJ, Xiong C, Benzinger TLS, et al. Clinical and biomarker changes in dominantly inherited Alzheimer's disease. N Engl J Med. 2012. Source
  8. Mapstone M, Lin F, Nalls MA, et al. What success can teach us about failure: the plasma metabolome of older adults with superior memory and lessons for Alzheimer's disease. Neurobiol Aging. 2017. Source
  9. Perez Ortiz JM, Swerdlow RH. Mitochondrial dysfunction in Alzheimer's disease: Role in pathogenesis and novel therapeutic opportunities. Brit J Pharm. 24 Jan 2019. Source
  10. Wilkins HM, Carl SM, Greenlief ACF, et al. Bioenergetic dysfunction and inflammation in Alzheimer's disease: a possible connection. Front Aging Neurosci. 2014. Source
  11. Chan PK, Ng HK, Hui M, Cheng AF. Prevalence and distribution of human herpesvirus 6 variants A and B in adult human brain. J Med Virol. 2001. Source
  12. Elmer WA, Kumar DK, Shanmugam NK, et al. Alzheimer's disease-associated β-amyloid is rapidly seeded by herpesviridae to protect against brain infection. Neuron. 2018. Source
  13. Nation DA, Sweeney MD, Montagne A. et al. Blood-brain barrier breakdown is an early biomarker of human cognitive dysfunction. Nat Med. 2019. Source
  14. Peña-Bautista C, Baquero M, Ferrer I, et al. Neuropsychological assessment and cortisol levels in biofluids from early Alzheimer's disease patients. Exp Gerontol. 2019. Source
  15. Schindler SE, Li Y, Todd KW. Emerging cerebrospinal fluid biomarkers in autosomal dominant Alzheimer's disease. Alzheimer's & Dementia. 2019. Source
  16. Preische O, Schultz SA, Apel A. Serum neurofilament dynamics predicts neurodegeneration and clinical progression in presymptomatic Alzheimer's disease. Nat Med. 2019. Source

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