Un nuovo studio ha ispirato titoli che affermano che una cura per il morbo di Alzheimer (MA) potrebbe essere disponibile entro sei anni, ma siamo veramente così vicini a un trattamento efficace?
Dato l'onere fisico, emotivo e finanziario che infliggono il MA e le demenze simili (una cosa che non farà che peggiorare con l'invecchiamento della popolazione) questo sarebbe ovviamente un vantaggio enorme. Ma come sempre, l'immagine è molto più complessa.
In verità il comunicato stampa dei ricercatori delle università di Cambridge e Lund è lontano dal fare affermazioni così definite, arrivando solo a dire che gli esperimenti per un farmaco modellato sui loro risultati potrebbero iniziare entro due anni. Le affermazioni più grandiose sembrano provenire da un autore senior dello studio che fa confronti (personali?) con i progressi di studi simili.
Quindi questa è l'ennesima previsione che finirà con una schiacciante delusione, come sembra essere accaduto molto spesso ultimamente?
Ci sono motivi di ottimismo qui. Molti esperti affermano che la ragione per cui tanti farmaci precedenti non sono riusciti a contrastare il MA è che hanno preso di mira la cosa sbagliata. Per anni si è ipotizzato che un elemento chiave in chi ha sviluppato la malattia fosse la presenza di placche di amiloide, grandi gruppi di proteine in eccesso che si raccolgono tra i neuroni nel cervello.
Ha senso: avere grossi pezzi di proteine non flessibili che si raccolgono attorno alle delicate connessioni neurali è destinato ad essere dirompente per i processi neurologici più sottili, sicuro? Quindi se ti sbarazzi di loro, il cervello dovrebbe essere in grado di funzionare meglio.
Eppure, questo non sembra accadere: i farmaci che presumibilmente rimuovono le placche amiloidi non sembrano causare alcun successivo miglioramento nel funzionamento cognitivo. L'idea che le placche amiloidi causino il MA potrebbe essere errata?
Secondo molti, sì. Negli anni più recenti, l'attenzione si è spostata su altri candidati, uno dei quali è l'accumulo di proteine deformi all'interno delle cellule cerebrali, non tra di loro. I grovigli neurofibrillari, ad esempio, sono presenti quando le proteine diventano deformi all'interno dei neuroni e potenzialmente minano i delicati sistemi di supporto cellulare.
Tuttavia, molti altri ricercatori, compresi quelli dietro lo studio corrente, affermano che sono gli oligomeri - molecole ancora più piccole che si trovano naturalmente nei neuroni e simili - a causare il danno e che i grovigli e le placche ne sono le conseguenze.
Ergo, rimuovere quei depositi molecolari più grandi equivale a liberare il pesce morto dall'acquedotto della città: migliora la situazione dell'acqua, ma chiaramente non è ciò che la sta avvelenando. Questo nuovo studio suggerisce che potremmo avere farmaci che affrontano la fonte, non gli effetti a valle.
Ma, come sempre, una nota di cautela è consigliabile in mezzo il rumore giornalistico. Qui si parla di interferire con i complessi processi molecolari presenti in ogni cellula cerebrale; per quanto sia necessario e utile, il potenziale di effetti collaterali dannosi è indubbiamente enorme, quindi correre avanti e sperare per il meglio è una strategia molto rischiosa.
C'è anche l'uso discutibile del termine 'cura' nelle numerose relazioni intorno a questo argomento. Anche se il farmaco funzionasse in modo efficace al 100% come sperato, il danno al cervello inflitto dal MA e da malattie simili è diffuso e grave. E il cervello umano, soprattutto se è già vecchio, ha possibilità limitate di riparazione in tali circostanze. Il cervello umano funziona grazie a reti e connessioni complesse e specifiche tra le varie aree, che sono il risultato di una vita di sviluppo ed esperienze.
Il MA causa danni e distruzione ai neuroni e, anche se fermare il processo che lo causa impedirà che le cose peggiorino, non significa automaticamente che le cose andranno meglio. Anche se potessimo in qualche modo sostituire le cellule cerebrali perse nelle regioni danneggiate (però non possiamo), per reclamare una 'cura' completa, dovremmo in qualche modo modellarle e connetterle in modo che siano esattamente come erano.
Tuttavia, qualsiasi progresso va bene in questo frangente. Ma siamo vicini a una cura per il MA? Per quanto banale possa essere la conclusione su un tale cliché scientifico, a volte questa è la sola verità: sono necessarie molte altre ricerche.
Fonte: Dean Burnett, neuroscienziato, autore del libro The Happy Brain
Pubblicato su The Guardian (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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