Esperienze e opinioni
Infiammazione cronica da mezza età a vecchiaia è legata alla demenza
Scansione del cervello che mostra danni alla sostanza bianca. (Fonte: laboratorio Gottesman)
I ricercatori della Johns Hopkins University hanno aumentato le evidenze che l'infiammazione crescente e cronica (misurata da un biomarcatore nel sangue) in mezza età è legata a cambiamenti strutturali visibili nel cervello delle persone con cognizione ridotta e con demenza.
Gli autori affermano che i risultati del loro studio, basati sui dati raccolti da oltre 1.500 persone, suggeriscono che gli sforzi per arginare l'infiammazione con farmaci, o con cambiamenti allo stile di vita in mezza età o prima, possono essere fondamentali per ritardare o prevenire il declino cognitivo in età avanzata.
"Abbiamo scoperto che gli individui che hanno avuto un aumento dell'infiammazione durante la mezza età, mantenuto anche in vecchiaia, hanno maggiori anomalie nella struttura della materia bianca del cervello, misurata con scansioni MRI", dice Keenan Walker PhD, primo autore e postdoctoral fellow del Dipartimento di Neurologia della Johns Hopkins University. "Questo ci suggerisce che l'infiammazione deve essere cronica, non temporanea, per avere un effetto negativo su aspetti importanti della struttura del cervello necessari per le funzioni cognitive".
I ricercatori da molto tempo stanno acquisendo prove che l'infiammazione cronica e le sostanze biochimiche ad essa associate possono danneggiare il cervello. La proteina C-reattiva, un fattore infiammatorio prodotto nel fegato, ad esempio, è già diventato un marcatore del danno chimico al cuore e al tessuto dei vasi sanguigni, indicativo di infarto.
Finora, tuttavia, secondo Walker, gli studi che collegano l'infiammazione alle anomalie cerebrali non hanno considerato questi fattori e caratteristiche per un lungo periodo di tempo nella stessa popolazione.
Nel nuovo studio, descritto nel numero di agosto di Neurobiology of Aging, Walker e i suoi colleghi hanno preso dati dallo studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) che hanno esaminato la struttura e l'integrità del cervello, nonché un marcatore di infiammazione di un periodo di 21 anni, dalla mezza alla tarda età.
Nello specifico, gli investigatori hanno confrontato i dati di 1.532 partecipanti reclutati dal 1987 al 1989 dalla contea di Washington (Maryland), nella contea di Forsyth (North Carolina), a Minneapolis (Minnesota) e a Jackson (Mississippi). Il 61% dei partecipanti erano donne e il 28% erano afroamericani. Alla visita finale, i partecipanti avevano un'età media di 76 anni.
Nel corso dello studio ARIC, ogni partecipante ha avuto 5 visite con coordinatori dello studio, in media ogni 3 anni. All'ultima visita, ogni partecipante si è sottoposto a una risonanza magnetica cerebrale per esaminare le prove di danni alla cosiddetta sostanza bianca - la parte del cervello responsabile della trasmissione dei messaggi. La sostanza bianca danneggiata appare super-bianca su una scansione, simile alla sovraesposizione in una fotografia, ed è stata misurata con un programma automatico.
Alle visite 2, 4 e 5, i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue per misurare la proteina C-reattiva ad alta sensibilità, una misura standard di infiammazione in tutto il corpo. Quelli con livelli inferiori a 3 mg/l sono stati considerati con bassa infiammazione, mentre quelli con 3 o più mg/l di proteina C reattiva sono stati considerati con un'infiammazione elevata.
Anche dopo l'aggiustamento per i dati demografici (ad esempio, sesso ed educazione) e per il rischio di malattie cardiovascolari, i ricercatori hanno scoperto che le 90 persone che passavano da proteina C-reattiva bassa, a persistentemente elevata durante la mezza età (indice di un aumento dell'infiammazione), mostravano il danno maggiore alla sostanza bianca nel cervello.
Usando un programma che misura l'integrità strutturale a livello microscopico, i ricercatori hanno stimato che il cervello delle persone che hanno avuto un aumento della proteina C-reattiva nella mezza età sembra simile a quello di una persona 16 anni più vecchia.
Walker dice che le loro scoperte, mostrando in generale che l'infiammazione crescente e cronica era associata al maggior danno alla sostanza bianca, ci danno più motivi per inferire una relazione causa-effetto tra infiammazione crescente e persistente e evidenza di demenza. Ma ha sottolineato che il loro è stato uno studio "osservazionale", non progettato per determinare la causa e l'effetto o per dimostrarli. Altri studi dovrebbero essere fatti per dimostrare la causa e l'effetto e capire i percorsi precisi del danno cerebrale, ha aggiunto.
"Il nostro lavoro è importante perché attualmente non ci sono trattamenti per le malattie neurodegenerative e l'infiammazione può essere un fattore reversibile per posticipare o prevenire l'insorgenza della malattia", dice Rebecca Gottesman MD/PhD, autrice senior e professoressa di neurologia ed epidemiologia alla Johns Hopkins. "Ora i ricercatori devono studiare come ridurre l'infiammazione per ridurre il declino cognitivo e la neurodegenerazione".
Walker afferma che le cause più comuni di infiammazione cronica comprendono malattie cardiovascolari, insufficienza cardiaca, diabete, ipertensione e infezioni come l'epatite C o l'HIV. Dice anche che l'infiammazione è un sottoprodotto normale dell'invecchiamento, ma la cattiva salute fisica e le lesioni sembrano esacerbarla.
Alcuni studi suggeriscono che la riduzione dell'infiammazione a breve termine può essere ottenuta trattando e controllando le malattie cardiovascolari comuni e mantenendo un peso sano.
Fonte: Johns Hopkins University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Keenan A. Walker, B. Gwen Windham, Melinda C. Power, Ron C. Hoogeveen, Aaron R. Folsom, Christie M. Ballantyne, David S. Knopman, Elizabeth Selvin, Clifford R. Jack Jr., Rebecca F. Gottesman. The association of mid-to late-life systemic inflammation with white matter structure in older adults: The Atherosclerosis Risk in Communities Study. Neurobiology of Aging, Vol 68, Aug 2018, Pgg 26-33, DOI: 10.1016/j.neurobiolaging.2018.03.031
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