Il Daily Telegraph riferisce che giocare a rugby potrebbe aumentare il rischio di demenza se i giocatori ricevono colpi ripetuti alla testa.
Quindi "quelli che rincorrono l'uovo" - dilettanti e professionisti - dovrebbero essere preoccupati? La risposta più immediata è probabilmente "no" poichè il Telegraph ha lasciato cadere seriamente la palla quando si è trattato di segnalare questo studio, che in realtà riguarda uno sport completamente diverso, il football americano.
Lo studio ha esaminato giocatori di football americano in pensione e ha scoperto che avevano un rischio di morire di malattie neurodegenerative tre volte più alto della popolazione generale. Le malattie neurodegenerative sono patologie debilitanti in cui una morte progressiva di cellule nervose porta alla perdita graduale della funzionalità.
I giocatori avevano anche un rischio quattro volte più alto della popolazione generale di contrarre l'Alzheimer o un altro tipo specifico di malattia dei motoneuroni registrato sul loro certificato di morte (come causa principale o concorrente). Anche se non l'hanno provato direttamente, i ricercatori sostengono che l'aumento del rischio è probabilmente il risultato di episodi ricorrenti di commozione cerebrale.
Un problema significativo nel riportare questo studio è che, nonostante le prime impressioni, il rugby europeo è un gioco molto diverso dal football americano. Il football americano tende ad avere un ritmo più veloce con una maggiore enfasi posta sul 'blocco', per cui un giocatore ostruisce il percorso di un altro con il suo corpo. Se questa mossa viene eseguita quando l'altro giocatore è in velocità, spesso può portare a un certo grado di commozione cerebrale.
Detto questo, c'è una certa preoccupazione negli ambienti del rugby circa l'impatto della commozione cerebrale regolare sul cervello, viste anche le nuove norme internazionali recentemente introdotte per ridurre il rischio. "E' difficile tracciare un parallelo tra i due sport, perché coinvolgono diversi tipi di contatto", ha detto Jess Smith, ricercatore della Alzheimer's Society.
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Pubblicato in NHS.uk il 6 Settembre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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