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'Momento senior' o qualcosa di neurologico?

MomentsOfJoy

Rita Philip e sua figlia sono due dei primi partecipanti alla rivoluzione con cui diagnostichiamo il morbo di Alzheimer (MA). Le ho incontrate per la prima volta nella primavera del 2012. Mentre la signora Philip si sottoponeva a test cognitivi, io e sua figlia si siamo accomodati uno di fronte all'altra nella piccola scrivania della sala d'esame del Memory Center. Ho chiesto: "Qual è il problema? Come posso aiutarti?". Mi ha guardato come se stesse per piangere, poi ha guardato il pavimento e ha detto: "Vorrei essere sicura che mia madre non abbia qualcosa di neurologico".


Sua madre, donna di casa in pensione, era consapevole dei cambiamenti cognitivi, sebbene li minimizzasse. "Momenti senior", li giustificava. "Cosa ti aspetti? Ho settantotto anni". E forse aveva ragione. Qualunque cosa stesse succedendo, era leggero. Sua figlia mi ha detto che sua madre aveva bisogno di più tempo per completare attività quotidiane complesse, come preparare una cena in famiglia. Stava anche commettendo errori, come dimenticare di prendere farmaci, ma se ne accorgeva. I suoi test cognitivi hanno mostrato punteggi bassi, ma per una casalinga con due anni di college (ha lasciato la scuola per sposarsi e tirare su una famiglia), i punteggi erano nella gamma normale.


I suoi cambiamenti cognitivi sembravano essere più di entità che di tipo. Non lo faceva come una volta, ma non era anomalo. Certamente non aveva la demenza. Entrambe volevano sapere cosa causava i suoi lievi problemi cognitivi. Era solo invecchiamento o, come chiedeva sua figlia, "C'era qualcosa di neurologico?". Nuove scansioni cerebrali e un nuovo modo rivoluzionario di pensare al MA mi hanno permesso di rispondere in modo definitivo alla sua domanda. Sua madre aveva qualcosa di neurologico. Aveva il MA, ma non aveva la demenza.


La scienza che mi ha permesso di diagnosticare il MA senza demenza può essere fatta risalire a un pomeriggio primaverile del 1984 quando lo psicologo Bob Ivnik si è imbattuto in Len Kurland mentre attraversava l'incrocio tra Second Street e Fourth Avenue a Rochester nel Minnesota.


“Era luminoso, soleggiato e chiaro, una bella giornata. Stavo camminando per andare a una riunione quando Len Kurland mi ha tirato da parte a un incrocio e mi ha detto molto rapidamente: «Volevo farti sapere che ho presentato domanda per una sovvenzione e ho messo il tuo nome sopra». Ero più o meno d'accordo, e ho continuato a camminare", ha ricordato Bob Ivnik, che a 36 anni era già da 6 anni primo neuropsicologo della Mayo Clinic.


Specialista dedicato con un comportamento calmo ma serio, il suo giorno tipico lo passava ad aiutare i medici a prendersi cura dei pazienti con epilessia. Prendersi cura dei pazienti era il lavoro dei suoi sogni. Non aveva alcun desiderio di fare ricerche.


"Non ero felice quando ho scoperto che Len mi aveva citato sulla sua domanda di sovvenzione. Pensavo che non fosse il mio interesse. Mi sentivo come tirato in qualcosa che non volevo fare, ma non puoi dire di no a Len Kurland della Mayo".


Guardando indietro, è arrivato a capire quanto era stato importante quel pomeriggio, non solo per lui, ma anche per tutte le persone che invecchiano. Sarebbe diventato parte di un team di ricercatori che, dopo 15 anni di lavoro, hanno pubblicato uno dei documenti più citati nella storia del MA. I suoi risultati hanno rovesciato il modo in cui i medici parlano del normale invecchiamento e della malattia.


Alla Mayo, Leonard Kurland ha fatto partire il Rochester Epidemiology Project perché gli epidemiologi possano comprendere i modelli e i predittori delle malattie. La sua reputazione era di un autocrate che vuole controllare tutto. Di fronte a una scadenza impossibile, per presentare una domanda di sovvenzione in tempo al National Institutes of Health, tramite il sistema postale degli Stati Uniti, Kurland, provetto pilota, ha portato la domanda via aereo da Rochester a Washington/DC.


La sovvenzione citata da Kurland incrociando Ivnik era una domanda ambiziosa e unica nel suo genere al programma di ricerca sull'Alzheimer, istituito di recente al National Institute on Aging. Sfruttando le risorse del Rochester Epidemiology Project, avrebbe identificato gli anziani con capacità cognitive ben caratterizzate, li avrebbe divisi in due gruppi (con e senza il MA) e quindi seguiti per anni. I dati avrebbero dato le risposte a domande semplici ma fondamentali: quante persone hanno il MA? Quali sono i fattori di rischio per contrarlo? Con che velocità progredisce? E avrebbe anche scoperto strumenti migliori per diagnosticare i pazienti.


L'ADPR (Alzheimer’s Disease Patient Registry, registro dei pazienti con Alzheimer) si stava dipanando su un terreno ideale. Era un'opportunità inconfondibilmente unica di condurre uno studio sul cervello che invecchia, per contare e confrontare le caratteristiche delle persone senza compromissione cognitiva e quelle con demenza. Finché il team si è attenuto ai suoi metodi e misure, le conclusioni che ha tratto sull'epidemiologia dell'invecchiamento, della cognizione e del MA hanno parlato alla nazione. Ma prima Bob Ivnik ha dovuto essere ispirato a trarre il meglio da quella che sentiva fosse una brutta situazione.


Per Ivnik, l'ADPR era una distrazione, lui voleva prendersi cura dei pazienti. "Mi piaceva molto fare i test e usare misurazioni oggettive per fare previsioni comportamentali e cognitive e aiutare la diagnosi". Eppure, mentre rifletteva sulla pratica clinica della psicologia che gli piaceva così tanto, si rese conto che la psicologia era profondamente imperfetta. I test che usava per misurare la memoria degli anziani non potevano davvero rispondere alla domanda fondamentale di un paziente: "Dottore, sono normale?"


"Mi sono reso conto che non esistevano le basi normative per quasi nessuno dei nostri test cognitivi oltre i 74 anni". I test di Wechsler, ad esempio, "l'apice assoluto dei test cognitivi", mancavano di dati per dire se il punteggio di un anziano era normale. Ivnik ha cambiato opinione sull'ADPR. Non era una distrazione. Era invece un'opportunità straordinaria.

 

 

 


Fonte: Jason Karlawish MD, professore di medicina all'Università della Pennsylvania

Pubblicato su Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Estratto da 'The Problem of Alzheimer's: How Science, Culture, and Politics Turned a Rare Disease into a Crisis and What We Can Do About It' di Jason Karlawish. Copyright © 2022 dell'autore, ri-pubblicato con il permesso di St. Martin’s Publishing Group.

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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