Esperienze e opinioni
I psichedelici potrebbero aiutare a trattare la demenza?
Foto: [url:https://twitter.com/AGSJournal/status/1408110025042657286?s=20]dott. Karthik Narayan[/url]
Dopo essere stati banditi a livello internazionale negli anni '70, i psichedelici sono risorti di recente nella ricerca medica in occidente. Cosa sappiamo? E questi potenti composti antichi potrebbero essere integrati nella cura delle persone con demenza?
Ricerca corrente
Una piccola, ma crescente, base di evidenze suggerisce che gli psichedelici 'classici' come psilocibina, LSD, DMT, così come i composti tipo MDMA e chetamina, possono essere terapie efficaci negli ambienti medici controllati, dove i ricercatori osservano i benefici preliminari nel trattamento della depressione, dell'ansia, del disturbo da uso di sostanze, del PTSD e nelle cure palliative per i pazienti che affrontano il cancro terminale.
I meccanismi alla base di questi benefici rimangono in qualche modo nebulosi. Tuttavia, si ritiene generalmente che i composti contribuiscano a una maggiore flessibilità cognitiva e ad una maggiore comunicazione tra le regioni del cervello.
Dato che molte condizioni di salute mentale sono caratterizzate da modelli persistenti di pensiero, sentimento e comportamento, sono avvincenti i trattamenti che interrompono i sistemi neurali che codificano e sovra-determinano tali schemi e forniscono opportunità alle persone di 'ricablare il loro cervello' in modi che danno sollievo a lungo termine.
In effetti, la ricerca suggerisce con forza che non è il semplice farmaco stesso che conta, quanto la presenza a supporto di una 'guida' che può aiutare il paziente a interpretare e integrare la sua esperienza e sviluppare nuove abitudini mentali all'interno di una finestra terapeutica con maggiore apertura. (Per un'immersione più profonda nelle antiche radici sciamaniche di questa dinamica, vedi questo documento recente).
Nuove direzioni per i psichedelici, inclusa la cura della demenza
Il successo degli studi preliminari è servito a ri-legittimare la ricerca psichedelica nella medicina occidentale. Si stanno ora esplorando trattamenti per i pazienti con condizioni come disturbi alimentari, emicrania e cefalea a grappolo e dipendenza da oppioidi.
Alcuni ricercatori, compresi i nostri colleghi del Center for Psychedelics and Consciousness Research della Johns Hopkins University, hanno iniziato ad esaminare se ci possono essere benefici per le persone con demenza.
Da una prospettiva cognitiva, ci sono alcune evidenze che le proprietà neuroplastiche/antinfiammatorie dei psichedelici possono potenzialmente conferire benefici a chi ha una malattia neurodegenerativa progressiva. Dato il tasso di fallimento del 100% dei farmaci anti-Alzheimer negli ultimi decenni, specialmente quelli che puntano strettamente l'amiloide-beta, una idea così fuori dagli schemi è benvenuta.
Tuttavia, come abbiamo trattato in precedenza, è improbabile che una sindrome eterogenea, legata all'età come l'Alzheimer sia di per sé 'curabile' ed è importante non gonfiare eccessivamente il potenziale clinico di trattamenti come quelli psichedelici.
Invece, potremmo pensare in modo più creativo a come questi trattamenti potrebbero produrre benefici adiacenti alla cognizione, ad esempio, sostenendo il benessere psicosociale degli anziani che vivono in strutture a lungo termine.
Aiutare a trattare agitazione, comportamenti e delirio?
Coloro che lavorano negli ambienti di assistenza qualificata conoscono bene i limiti dei farmaci attuali nella gestione dei comportamenti degli ospiti. Le nostre culture occidentali che stanno invecchiando affrontano una massiccia crisi che coinvolge l'uso eccessivo di antipsicotici: 1 ospite di casa di cura su 5 attualmente assume questa classe di farmaci per trattare agitazione, comportamenti e delirio.
Considerando che gli antipsicotici si sono dimostrati in gran parte inefficaci e piuttosto pericolosi, è stato proposto che micro-dosi di trattamenti psichedelici che distruggono l'ego e consentono un distacco temporaneo dalla sofferenza fisica / mentale acuta (così come dai modelli abituali e non flessibili di attività cognitiva) potrebbero teoricamente aiutare a promuovere una maggiore calma nelle persone con demenza.
Alla luce delle conseguenze deleterie degli antipsicotici, indagare sui potenziali effetti di alterazione dell'umore dei psichedelici, che sono generalmente ben tollerati, non creano dipendenza e non sono allucinatori a bassi dosaggi, sembrerebbe una direzione preziosa da investigare.
Migliorare i benefici delle arti?
Un'ironia nel campo della demenza è che mentre i farmaci hanno fallito in modo spettacolare, nonostante miliardi di dollari di investimento, un 'intervento' costantemente efficace nella cura a lungo termine è costituito dalle arti.
Narrazione, musica, danza, giardinaggio, terapia con animali domestici e altre attività che spesso chiamiamo 'socialceutiche' (visto che sono quasi ridicolmente superiori ai farmaci attuali per la demenza), ci collegano all'umanità quintessenziale del cognitivamente fragile, consentendo un'espressione ricca, la forgiatura di legami con i caregiver e il miglioramento della qualità di vita.
I psichedelici, ovviamente, sono noti per la loro capacità di migliorare le esperienze sensoriali, suscitare sentimenti del sacro, del sublime e del totalmente altro e rafforzano un senso di unità e interconnessione.
Vale quindi la pena considerare se dei micro-dosaggi di composti psichedelici, in ambienti di cura a lungo termine, potrebbero aiutare a migliorare l'esperienza qualitativa dei 'socialceutici' come ascoltare o cantare canzoni, osservare la natura, coinvolgersi nelle opere d'arte, interagire con gli animali, o creare legami con altri residenti.
Il futuro
Ovviamente, in assenza di dati, la promessa dei psichedelici, attualmente, è per lo più ipotetica o teorica. Molto deve essere appreso su dosaggi adeguati, protocolli di sicurezza e supervisione, etica sul consenso, reazioni avverse, formazione del personale e altre questioni che affiorano intorno ai moderni regimi di trattamento per questi antichi composti.
Dobbiamo anche essere cauti per le forze del mercato, in particolare, per aziende, imprenditori e attori cattivi con interessi acquisiti che magnificano i trattamenti come soluzioni pronte. Per fortuna, si stanno conducendo studi rigorosi a livello internazionale, e ciò che impareremo nel prossimo decennio dovrebbe aiutare a rischiarare (o no) il sentiero che abbiamo davanti.
Nel frattempo, possiamo ancora, come cittadini, portare le arti negli ambienti di cura a lungo termine, e anche ai nostri parenti anziani in generale, e aiutare a fornire gli 'stati alterati' che conosciamo come protettivi, piacevoli e a supporto della qualità di vita di tutti noi.
Fonte: Daniel R. George PhD/MSc, professore associato di scienze umane e sanitarie, Penn State University
Pubblicato su Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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