È dagli anni '70 che una cura per il morbo di Alzheimer (MA) è sempre stata proprio dietro il proverbiale angolo.
La storia dominante spinta dalle organizzazioni di attivisti, dall'industria farmaceutica e dagli esperti accademici è stata che il MA è una malattia separata dall'invecchiamento del cervello, che sarà sconfitta da molecole specifiche 'attaccanti'. Negli ultimi due decenni, il bersaglio principale è stato la proteina amiloide-beta, una delle caratteristiche delle placche neuritiche notate dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer e da altri all'inizio del XX secolo.
Anche se sono stati spesi miliardi nello sviluppo di farmaci negli ultimi due decenni, con la parte del leone costituita da approcci anti-amiloide, gli sforzi sono costantemente falliti. L'approvazione di giugno 2021, così criticata, del biologico anti-amiloide aducanumab da parte della FDA, che non ha mai dimostrato adeguatamente efficacia clinica, sollevando però notevoli preoccupazioni sulla sicurezza e sui costi, ha fatto sorgere nuovamente domande sulla stessa premessa che possiamo 'curare' il MA.
Cosa sta confondendo questa 'guerra' molecolare lunga decenni?
L'amiloide è complicata e la patologia non è destino
Mentre il MA è stato spesso confrontato retoricamente con la poliomelite negli sforzi di raccolta fondi, il ruolo dell'amiloide nel cervello è più complesso di un virus. I componenti relativi all'amiloide hanno dimostrato di avere proprietà antiossidanti, che sono cruciali per la crescita delle cellule, delle sinapsi e dell'apprendimento, e che sono coinvolte nelle risposte immunitarie e allo stress. Anche se la sua presenza può essere indicativa che c'è qualcosa di 'non giusto' nel cervello, ridurre l'amiloide a uno specifico fattore patogenetico tramite l'analogia con il poliovirus è stato fuorviante.
È importante sottolineare che la ricerca non ha assodato in modo convincente che i livelli di amiloide sono chiaramente correlati con i sintomi cognitivi. La deposizione di amiloide avviene di frequente nelle persone cognitivamente intatte, con un massimo del 40% degli anziani senza demenza che soddisfano i criteri neuropatologici del MA basati solo sull'onere di amiloide.
È altrettanto confondente che il 25-30% delle persone clinicamente diagnosticate con MA, sull'analisi postmortem, non soddisfano i criteri neuropatologici per la malattia. I sintomi cognitivi si correlano con più forza con la presenza dei grovigli di tau (l'altro segno distintivo della 'malattia' descritta per la prima volta dal dott. Alzheimer). Nonostante le convinzioni che i grovigli seguono le placche nelle cascate patogeniche, le interrelazioni tra amiloide e tau non sono ancora chiare.
Tali complessità aumentano le domande fondanti. Stiamo considerando erroneamente 'tossiche' le proteine associate alla malattia, come l'amiloide? L'apparizione dell'amiloide è solo un effetto del danno precoce piuttosto che una causa? Le terapie anti-amiloide attaccano un processo associato al normale invecchiamento cerebrale che può essere protettivo?
L'argomento più forte a favore dell'amiloide è costituito dalle relazioni tra varie mutazioni autosomiche dominanti nella malattia a insorgenza precoce e l'elaborazione dell'amiloide. Ma la malattia precoce, che è rara, non è la stessa della variante più comune a tarda insorgenza.
Inoltre, il nostro pensiero sul ruolo dei geni nella malattia è cambiato drasticamente dai precedenti modelli semplicistici. Le cascate lineari di geni -> proteine -> sconvolgimenti molecolari specifici, che possono essere trattati da farmaci e da trattamenti biologici, non sono più viste come approcci concettuali realistici. I biologi molecolari hanno fatto proclami semplici, spesso alla ricerca di fama-e fortuna, a proposito di scoperte imminenti, ma abbiamo gradualmente appreso che dobbiamo applicare un approccio più basato sui sistemi per malattie neurodegenerative complesse.
Nello studiare la genomica, stiamo diventando sempre più confusi su ciò che è in realtà un gene. Non è solo un filamento ereditato di DNA, ma piuttosto una rete di relazioni genetiche e ambientali che cambiano nel tempo. L'epigenetica è solo la punta dell'iceberg intellettuale rispetto a quanto è diventato limitato il nostro pensiero sulle cure molecolari.
L'Alzheimer non è una cosa singola
Anche se il MA è convenzionalmente considerato come una 'malattia' singola, in realtà è altamente eterogenea. Questa eterogeneità si applica alla genetica, ai fattori di rischio, all'età di insorgenza, alla presentazione clinica, alla progressione, alla risposta ai farmaci e, forse la più importante, alla patologia cerebrale.
Quando i neuropatologi esaminano il cervello delle persone con diagnosi di MA a livello molecolare/cellulare, 'esso' sembra essere il risultato di molteplici anomalie patologiche sovrapposte. Infatti, la maggior parte dei cosiddetti casi di MA mostra segni di demenza mista. Ciò significa che comprende non solo placche e grovigli, ma anche patologie come lesioni vascolari, accumulo di alfa-sinucleina (la proteina anomala nei corpi di Lewy), proteine anormali chiamate TDP-43, sclerosi ippocampale e malattia della materia bianca.
Anche nei casi con placche e grovigli classici, la distribuzione delle lesioni varia nel cervello, e hanno relazioni poco chiare con i modelli di morte neuronale e altre caratteristiche patologiche meno comuni. Il 2018 NIA-AA Research Framework illustra la variabilità dei modelli di patologie e le relazioni non chiare tra di loro.
Ciò che significa questo fenomeno ben consolidato è che ci sono vari percorsi verso la neurodegenerazione nelle persone clinicamente diagnosticate con MA, che si sovrappongono di frequente.
Sarebbe molto più appropriato parlare di malattie di Alzheimer (al plurale) o di sindrome di Alzheimer, che perpetuare l'equivoco che abbiamo a che fare con una condizione singola che può essere riparata strumentalmente con farmaci a meccanismo singolo. Infatti, data la realtà dell'eterogeneità sottostante, è forse non sorprendente che i farmaci come l'aducanumab, che puntano gli aspetti isolati di questa sindrome diffusa, quasi mai sono riusciti a dare benefici clinici.
Mentre le terapie attuali sono organizzate attorno alla teoria (e al piano aziendale) che tutti i casi di MA possono essere trattati in modo efficace tramite percorsi che convergono sull'amiloide, ciò ha lasciato non trattata una percentuale significativa di condizioni associate nel fenotipo del MA, non legate alla patologia placche-e-grovigli (es.: i danni vascolari).
Come ha dichiarato il ricercatore John Hardy sull'eterogeneità del MA nel libro The Alzheimer's Conundrum di Margaret Block: "Non direi che è uno sporco segretuccio. Tutti lo sanno. Ma non sappiamo cosa fare a riguardo".
Ma se non possiamo definire correttamente la condizione, come possiamo realisticamente postulare una cura?
L'Alzheimer è imtrecciato con l'invecchiamento
Nonostante miliardi di dollari che fluiscono nella ricerca della diagnostica e della cura, non rimane alcun modo definitivo per distinguere il MA dal grave invecchiamento del cervello. La maggior parte degli scienziati ammetterebbe, almeno in privato, che semplicemente non è provata la nozione che invecchiamento cerebrale e MA derivano da processi fisiologici chiaramente differenziati, una distinzione fatta per la prima volta negli anni '70 quando è nato il National Institute on Aging e ha reso il MA la sua causa celebre.
Dato quello che da allora abbiamo imparato sugli intrecci intimi tra MA e invecchiamento, questo appare molto più difendibile come stratagemma politico che come tesi scientifica. La ricercatrice Carol Brayne e i colleghi di Cambridge hanno fatto riferimento al 'de-intreccio' del MA con l'invecchiamento come il "grande errore dell'Alzheimer", visto che l'età rimane di gran lunga il fattore di rischio più forte della demenza.
Curare il MA può implicare la cura dell'invecchiamento
Permettiamoci di sognare: alla fine 'cureremo' il MA. Cosa significa praticamente? Una cura consentirebbe ai pazienti di tornare a uno stato del cervello precedente (es.: il loro cervello prima dei 60 anni)? Subirebbero ancora l'invecchiamento nel cervello, che potrebbe diventare grave, causando dimenticanza? Quella condizione quanto sarebbe diversa dal MA? Staremo affrontando una nuova sfida: quella di curare l'invecchiamento del cervello?
Trovare speranza nella prevenzione e nella cura
Allo stato attuale, la prospettiva di 'curare il MA' è più fantasia innovativa che realtà. È importante essere sinceri sulle sfide che affrontiamo e sensibili ai pericoli di creare false speranze per chi vive con la demenza e le loro famiglie. Dovremmo essere scettici sulla vecchia convinzione che c'è una relazione causale tra il denaro speso per la ricerca sul MA e trovare cure, che è funzionalmente una forma di superstizione.
La buona notizia è questa: quando ci avviciniamo in modo più sistemico alla sfida, c'è una vera ragione della speranza.
Concentrarsi sulla prevenzione piuttosto che su una cura è forse dove possiamo fare progressi genuini. Ancora una volta, i farmaci falliscono il compito, ma la ricerca attuale suggerisce che fino al 40% del rischio di demenza può essere effettivamente suscettibile di prevenzione / ritardo, concentrandosi sui determinanti sociali dell'invecchiamento del cervello.
I tassi di demenza sono diminuiti in Europa occidentale e negli USA per merito in gran parte delle politiche pubbliche avviate nella metà del XX secolo (più istruzione pubblica, creazione di sistemi sanitari nazionali che hanno efficacemente trattato fattori di rischio vascolare, programmi riusciti di cessazione del fumo, meno piombo nella benzina, ecc.) che hanno migliorato la salute del cervello a livello di popolazione.
Probabilmente, possiamo aspettarci che raggiungere l'assistenza sanitaria universale, supportare l'apprendimento permanente (es.: formazione universale dell'università gratuita / formazione professionale), ridurre l'esposizione all'inquinamento e affrontare l'infrastruttura delle tubazioni vecchie dell'acqua della nazione (che ha prodotto la crisi attuale del piombo), può contribuire in modo esponenziale alla salute del cervello nei decenni. Naturalmente, possiamo anche migliorare sostanzialmente i sistemi che si prendono cura delle persone con demenza e le loro famiglie.
In definitiva, anche in mancanza di una cura per il MA, rimane molto che possiamo fare l'uno per l'altro.
Fonte: Daniel R. George PhD/MSc, professore associato di scienze umane e di sanità pubblica alla Penn State University.
Pubblicato su Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Testo adattato dal prossimo libro American Dementia: Brain Health in an Unhealthy Society (Johns Hopkins University Press). Per saperne di più vai su americandementia.com
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