Esperienze e opinioni
Forse stiamo arrivando a un vaccino per l'Alzheimer
Il nostro sistema immunitario per molti versi funziona come l'appetito del mio cane. Se incontra un qualsiasi oggetto simile al cibo durante le nostre passeggiate all'esterno, sarà il primo ad annusarlo e a ingoiarlo, prima ancora di avere la possibilità di vederlo, indipendentemente da cos'è l'oggetto (come la nostra immunità innata).
Eppure, a casa, il mio cane testa e costruisce una strategia (per noi, gli anticorpi) specifica per ogni fonte alimentare disponibile. Per le patatine, aspetta sotto il seggiolone fino a quando a mio figlio ne cadono inevitabilmente alcune. Per le fette di tacchino, lecca le mani di mio figlio. Per le lasagne, cammina attorno a tutto il tavolo da pranzo fino a quando non trova un ospite volenteroso che lo nutre sotto il tavolo mentre non guardo.
Quando un patogeno entra nel nostro corpo (o quando siamo vaccinati), il nostro sistema immunitario produce anticorpi specifici per l'intruso dannoso, per sbarazzarsi di esso. Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno usato questo meccanismo a loro vantaggio, chiamandolo immunoterapia, par combattere malattie come il cancro e i disturbi autoimmuni. Più di recente, uno studio uscito un mese fa da un gruppo della Axon Neuroscience (Slovacchia) ha dimostrato che l'immunoterapia può dare potenzialmente benefici anche a una delle malattie più diffuse e incurabili della nostra vita: il morbo di Alzheimer (MA).
Le potenizalità dell'immunoterapia per il MA.
Oggi più di 6 milioni di americani vivono con il MA. Si prevede che questo numero raddoppierà nei prossimi 30 anni. Eppure, dopo vari decenni di ricerche, non abbiamo ancora una cura o nemmeno i modi per rallentare veramente la malattia. Secondo Justin Long, assistente professore di neurologia che lavora sul MA alla Washington University di St. Louis, uno dei più grandi impedimenti per sviluppare terapie efficaci è il lento progresso della malattia, comprendente una fase asintomatica estesa che precede anche di 15-20 anni l'inizio dei sintomi.
"Gli esperimenti clinici per il MA devono spesso seguire i pazienti per anni, per stabilire se c'è un'efficacia clinica, con la conseguenza di costi elevati e ritorno lento dei risultati", dice. "Per rallentare o fermare efficacemente la progressione della malattia, è molto probabile che sia necessario trattare [i pazienti] prima dell'inizio dei sintomi o ai primi segnali clinici della malattia".
Il vaccino sperimentale AADVac1 dell'Axon (attualmente la terapia tau clinicamente più avanzata in sviluppo) mira a fare esattamente questo. Il suo obiettivo è attivare il sistema di difesa del nostro corpo per eliminare le proteine tau a fluttuazione libera nel nostro cervello, prima che possano formare i grovigli dannosi che si accumulano all'interno delle cellule nervose e che alla fine causano la loro scomparsa.
"La patologia tau è strettamente correlata al declino cognitivo e all'atrofia del cervello", afferma Petr Novak, scienziato senior di ricerca clinica dell'Axon. Se funziona, il vaccino può fermare la progressione e la diffusione di questi grovigli, e quindi potrebbe fornire sollievo sintomatico ai pazienti con la forma precoce o lieve della malattia. Se somministrato abbastanza presto, potrebbe anche prevenirla. Ma in primo luogo, deve dimostrare sicurezza, immunogenicità (cioè capacità di creare una risposta immunitaria) e, naturalmente, efficacia.
Lo studio condivide i risultati di una sperimentazione clinica di fase II di due anni con 196 partecipanti in otto paesi europei. Mostra che l'AADVAC1 è sicuro, ben tollerato e può generare una forte risposta anticorpale alla tau. I partecipanti che hanno ricevuto l'AADVAC1 hanno avuto un calo della proteina neurofilamento a catena leggera ("un marcatore dell'intensità della neurodegenerazione" secondo Novak) nel loro sangue, oltre a una riduzione della tau nel fluido cerebrospinale, rispetto a coloro che hanno ricevuto il placebo di controllo.
Anche se questi sono risultati promettenti, lo studio non è riuscito a dimostrare un beneficio cognitivo significativo sul pensiero, sul ragionamento e sui test di memoria eseguiti nell'intero gruppo di pazienti. Secondo Novak, ciò non è dovuto all'inefficacia del vaccino, ma a un errore nell'iscrizione all'esperimento, per cui "un numero non trascurabile di pazienti negativi ai biomarcatori della tau è entrato nello studio, confondendo l'analisi".
Il gruppo sta pianificando di far seguire a questo studio una sperimentazione clinica più lunga e più grande per dimostrare l'efficacia dell'AADVAC1 per rallentare il deterioramento cognitivo nel MA lieve.
I vaccini tau possono essere il futuro per la terapeutica di MA, ma hanno bisogno di più tempo per dimostrarlo.
Indipendentemente dai risultati dello studio, Long ritiene che le terapie che mirano a ridurre la tau patologica nel cervello abbiano senso e che l'eliminazione mediata da anticorpo è una buona strategia per farlo.
"Sono entusiasta del potenziale delle terapie basate sulla tau", aggiunge, avvertendo però che "Non mi aspetto che il percorso sia liscio, e sono sicuro che ci saranno alcuni intoppi nel percorso per sviluppare terapie efficaci".
Novak concorda:
"La prima generazione di trattamenti di modifica della malattia probabilmente non fermeranno del tutto la malattia, ma una volta che ci sono trattamenti che si confermano veramente efficaci, possiamo iniziare a testarli in pazienti con MA asintomatico, per valutare le loro proprietà di prevenzione".
Come una bistecca succosa che il mio cane deve ancora ingerire, trovare terapie efficaci per trattare o prevenire il MA è un sogno che tutti vogliamo realizzare prima possibile. I vaccini potrebbero portarci lì prima di quanto pensiamo.
Fonte: Burcin Ikiz PhD, neuroscienziata, scrittrice di scienze, consulente, specialista di neurodegenerazioni.
Pubblicato su Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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