Quando è Alzheimer, bisogna comunicare la diagnosi alla persona interessata? Questo può essere un difficile problema etico. Dire o non dire al paziente la diagnosi è una decisione molto personale.
Susan Gilbert ha scritto su reportingonhealth.org: "Negli ultimi anni ci sono state notizie di suicidi e di omicidi-suicidi che coinvolgono le persone con Alzheimer". Lei si chiede se questa potrebbe essere una tendenza, e ne fornisce un esempio:
Un necrologio apparso sul New York Times a giugno di quest'anno "era per Sandra Lipsitz Bem, professore emerito di psicologia della Cornell che si è suicidata dopo aver ricevuto la diagnosi di Alzheimer".
Dopo la sua diagnosi, ricevuta nel 2010, ha detto, ha reso noto «l'intenzione di porre fine alla sua vita, mentre poteva ancora farlo senza assistenza, se e quando la malattia fosse diventata troppo debilitante per una qualità significativa della vita»".
"Nella maggior parte dei casi è meglio farla sapere", dice Carol Steinberg, Vice Presidente Esecutivo dell'Alzheimer's Foundation of America. Quando l'ho intervistata lei ha aggiunto: "Hanno il diritto di sapere. Questo li aiuta a capire cosa sta succedendo e a lavorare per conviverci. Inoltre permette loro di partecipare alle decisioni mediche, legali e finanziarie che dovranno essere prese mentre sono ancora in grado di farlo".
In alcuni casi rari, tuttavia, può essere meglio non comunicare la diagnosi al paziente. Io personalmente ho deciso di non dirlo al mio amato compagno di vita rumeno, Ed. Egli era ovviamente preoccupato di avere l'Alzheimer e usava l'umorismo per affrontare le sue paure. Alla fine di ogni visita dal medico proclamava a gran voce "Per lo meno non è Alzheimer!". E rideva di cuore.
Negava risolutamente. Quando non riusciva a ricordare qualcosa di semplice, chiamava la sua totale mancanza di memoria «la mia scarsa memoria» o «la mia memoria scarsa e debole». Ma sembrava che non permettesse mai a se stesso di chiedersi se dipendeva dalla demenza.
Mi diceva spesso che si sarebbe suicidato se avesse avuto l'Alzheimer, e sapevo che aveva una scorta di tavolette valium che aveva accumulato nel corso degli anni proprio per questo scopo. Non ero sicura che l'avrebbe fatto, ma non volevo correre il rischio. Era un uomo estremamente volitivo e orgoglioso. Sapevo che non potevo tenerlo d'occhio ogni momento di ogni giorno.
Occorre sottolineare, tuttavia, che secondo la Steinberg, il ruolo dell'Alzheimer o di una demenza correlata come fattore di rischio per il suicidio è controverso, e alcuni studi legano il rischio alla depressione co-esistente.
In una certa misura la decisione può essere influenzata dal livello di demenza della persona. Quelli nelle prime fasi capiranno la diagnosi e tutto ciò che significa. Ma una persona cara in una fase più avanzate al momento della diagnosi, probabilmente non la capirà per niente e quindi non ha alcun senso dirgliela.
Fonte: Marie Marley in TheHuffingtonPost (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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